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Separazione delle carriere e giustizia: il commento 

Il treno è partito. La giustizia italiana ha (finalmente) imboccato la strada della maturità. E chi rimane a terra, a gridare “al lupo”, finirà – come sempre – a parlare da solo. Il Senato ha infatti approvato il disegno di legge costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Un passaggio epocale per la giustizia italiana, che corregge una stortura storica del nostro ordinamento e restituisce equilibrio a un sistema spesso criticato per l’ambiguità dei ruoli e per l’assenza di reali garanzie di terzietà.

Un passo in avanti nel pieno rispetto della Costituzione e con l’obiettivo chiarissimo: rafforzare quel principio sacrosanto che chi decide deve essere davvero super partes. Il principio è semplice: chi giudica non può essere lo stesso che accusa. Separare i percorsi di giudici e pm è garanzia di imparzialità, di equilibrio, di trasparenza. È un’idea che chiunque, con un minimo di onestà intellettuale, dovrebbe ritenere ovvia. In qualsiasi democrazia matura, questa distinzione è la regola. Da noi, finora, era l’eccezione.

Si sgombra il campo da ambiguità, da promiscuità di ruoli, da quel “tra noi colleghi ci si capisce” che ha troppo spesso gettato in passato ombre sulla credibilità della giustizia. Ma – puntuale come un cliché – ecco che l’opposizione, in particolare la sinistra, rispolvera l’elmetto e si rifugia nel suo sport preferito: la barricata. Di fronte a tutto questo, ha infatti scelto la linea più prevedibile e meno utile al Paese: l’opposizione pregiudiziale. Non una proposta alternativa, non una visione diversa: solo slogan stanchi, toni drammatici, e il solito riflesso condizionato dal “no a prescindere”.

Secondo certi esponenti progressisti, separare le carriere sarebbe un complotto per mettere il bavaglio ai pm. Inutile tentare una spiegazione logica: qui si tratta di fede, di liturgia ideologica, non di merito. Chi oggi urla allo scandalo, probabilmente domani ne beneficerà. Ma intanto, nel teatrino dell’opposizione barricadera, si recita l’ennesimo atto del dramma eterno: “la destra vuole il controllo, la Costituzione è in pericolo, e il golpe è dietro l’angolo”. Peccato che il copione sia vecchio e gli spettatori sempre più pochi. Mentre la giustizia – quella vera – ringrazia.

E così anche i cittadini onesti. Il Senato ha fatto la sua parte. Ora toccherà alla Camera. Ma l’Italia, intanto, segna un punto a favore dello Stato di diritto. Mentre la sinistra, nostalgica delle procure come avamposti politici e dei talk show in tv come tribunali, resta lì a gridare al lupo, anche quando il lupo è solo il buon senso. Come sempre, quando la Storia bussa alla porta, loro sono sul tetto, con un megafono, a spiegarci che il problema è… la porta. Ma stavolta, il Paese ha deciso di entrare.

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