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Per il governo italiano, il punto dolente è quello sull’unione bancaria. Per essere davvero efficace, l’unione ha bisogno della ratifica da parte di tutti i 20 paesi dell’Eurozona del Mes

Guai in vista per il governo italiano. O, almeno, forte rischio di scontro con l’Unione europea. Si riaccende, infatti, la partita sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes), il fondo salva-Stati che l’Italia si rifiuta di ratificare ma che è uno dei tasselli fondamentali per dare piena attuazione all’unione bancaria dell’Eurozona.

Dopo che le discussioni erano state messe in stand-by prima a causa delle elezioni europee e poi per l’iter di costruzione della nuova Commissione europea, il tema è tornato all’ordine del giorno. Lunedì 17 febbraio, infatti, a Bruxelles si è riunito l’Eurogruppo per votare il programma dei lavori da qui a luglio, quando bisognerà eleggere il nuovo presidente. Attualmente, i ministri delle Finanze della zona euro sono guidati dall’irlandese Paschal Donohoe e il programma approvato ieri elenca cinque priorità: migliorare il coordinamento delle politiche economiche e fiscali, creare un’unione dei mercati dei capitali più profonda e competitiva, completare e rafforzare l’unione bancaria, favorire la competitività dell’economia europea e dare credibilità all’euro come moneta internazionale e digitale.

Per il governo italiano, il punto dolente è quello sull’unione bancaria. Per essere davvero efficace, l’unione ha bisogno della ratifica da parte di tutti i 20 paesi dell’Eurozona del Mes. L’ultima riforma del salva-Stati ha introdotto il cosiddetto backstop al Fondo di risoluzione unico, in pratica una rete di sicurezza finanziaria che si attiva nell’ambito della gestione di eventuali crisi bancarie. Senza la ratifica italiana al Mes (il governo di Giorgia Meloni è l’unico a non averlo ancora fatto) il backstop non entra in funzione e così l’unione bancaria rimane azzoppata.

Visto il programma approvato ieri, è facile immaginare che i partner europei ricominceranno a chiedere con insistenza la ratifica del Mes a Meloni, rispolverando un isolamento che Roma in questi ultimi mesi era riuscita a mettere da parte, forte anche del credito internazionale di cui gode. “La ratifica del trattato di riforma del Mes e il progresso della revisione della scatola degli attrezzi del Mes restano obiettivi fondamentali”, ha detto chiaro e tondo Donohoe, che ha anche richiamato l’attenzione sul fatto che “le regole sono una fonte di stabilità”.

Va detto che, sul fronte dell’unione bancaria, l’Italia non è l’unico paese a complicare il percorso, come in effetti richiamato più volte da Meloni. La Germania, per esempio, si è sempre opposta alla garanzia dei depositi Edis, cioè la copertura di tutti i depositi bancari eccezion fatta per quelli strutturati e gli strumenti monetari a breve termine. Ovviamente, la questione innesca un rimbalzo di accuse: Berlino può giustificarsi dicendo che se Roma non ratifica il Mes allora non ha senso accettare l’Edis e Roma può fare lo stesso.

Intanto, dalla riunione dell’Eurogruppo sono arrivati segnali importanti in direzione di quella che è una delle incombenze maggiori che l’Europa è chiamata ad affrontare in questo momento: l’aumento del budget militare. “La spesa per la difesa ha acquisito un’importanza maggiore in questo contesto e per questo troveremo il modo di rispondere alle esigenze di sicurezza dell’Europa senza compromettere la stabilità economica di base. Le due cose possono essere fatte insieme”, ha detto Donohoe.

Allo studio, da parte della Commissione di Ursula von der Leyen, c’è la possibilità di scorporare queste spese dai calcoli di deficit, in modo da poter dare più spazio di manovra ai governi senza che questi corrano il rischio di incappare in procedure di infrazione come accaduto, per esempio, a Italia e Francia. Donohoe non ha commentato direttamente la proposta, ma si è detto “fiducioso” rispetto al fatto che verrà trovato il modo “di aumentare la spesa per la difesa, garantendo al contempo la stabilità economica dell’euro e delle nostre economie”.

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