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Ucraina, colpire il petrolio russo può indebolire Mosca? L’analisi del generale Camporini 

Nuova scossa nel conflitto tra Russia e Ucraina: il presidente americano Donald Trump ha annunciato un pacchetto di sanzioni energetiche contro Mosca con l’obiettivo di colpire e indebolire le due maggiori compagnie petrolifere del Paese: Rosneft e Lukoil. Una mossa, a sorpresa, che se da un lato rinsalda l’asse Usa-Ue, dall’altro apre nuovi interrogativi sul futuro del conflitto in Ucraina: si riuscirà davvero ad arrivare a una svolta, spingendo il presidente russo Vladimir Putin a trattare, accettando quantomeno una tregua? 

Interpellato da Affaritaliani Vincenzo Camporini, generale ed ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare e della difesa, è stato chiaro: “Non siamo di fronte a una fine. Si tratta di schermaglie tra due personalità molto forti, ognuna delle quali cerca di mantenere il proprio puntoTrump è evidentemente deluso dal non essere riuscito finora a ottenere risultati con Putin ed è probabilmente anche molto irritato per ciò che sta accadendo a Mosca: in alcune trasmissioni televisive molto popolari è stato preso in giro in maniera feroce, e questo certamente ha ferito il suo ego”. 

E sulle sanzioni al petrolio russo Camporini ha precisato: “È chiaro che in un sistema economico come quello russo, dove la produzione e la vendita di idrocarburi hanno un’importanza fondamentale, questa mossa di Trump va ben oltre il piano puramente simbolico. È certamente una preoccupazione in più per Mosca, che dal punto di vista economico sta soffrendo le conseguenze di una guerra che dura da oltre tre anni. Direi quindi che una mossa del genere può avere qualche effetto sulla condotta delle operazioni e sulla prosecuzione della guerra, anche se non in modo determinante”.

Sul tanto discusso “congelamento del fronte” su modello coreano il generale ha invece sottolineato: “È un’ipotesi tecnicamente percorribile ma politicamente molto difficoltosa al momento, perché quel modello prevede lo stanziamento di risorse militari sul territorio, in grado di fungere da deterrente contro ulteriori tentazioni russe. Mosca ha però sempre rifiutato l’idea di truppe straniere in Ucraina. Quindi, ripeto, è un’ipotesi con dei fondamenti razionali, ma che oggi non ha le condizioni politiche per essere realizzata”.

Parole incoraggianti sul fronte militare-strategico, dopo la decisione di Trump di trasferire i sistemi di difesa Patriot a Kiev. “Non c’è rischio di escalation, ha assicurato Camporini, i Patriot sono sistemi missilistici di difesa antiaerea, sicuramente importanti, ma privi di valenza offensiva. Non possono quindi essere considerati uno strumento di escalation. La Russia continua a colpire le città ucraine con missili, droni, bombe volanti e bombe plananti; perciò, un sistema che rafforza la difesa aerea dell’Ucraina è da considerarsi puramente difensivo. Non vedo dunque rischi di escalation”.

E dunque, che cosa potrebbe davvero convincere Putin a cedere e accettare il cessate il fuoco? “L’ipotesi di un congelamento della linea del fronte, che sostanzialmente equivarrebbe ad accettare l’occupazione russa di quei territori, non implicherebbe di per sé un riconoscimento giuridico di tali conquiste”, ha rimarcato Camporini. “Da questo punto di vista, credo che una soluzione del genere — che non verrebbe riconosciuta da nessun altro Paese se non forse dalla Corea del Nord o da qualche altro Stato simile — potrebbe essere praticabile, purché esistano le condizioni per scoraggiare ulteriori tentazioni di aggressione”, ha concluso il generale. 

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