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Conte: “Zelensky? Trump la pensa come noi”. E Salvini: “Ha già fatto più di Biden”

Si riavvolge il nastro e le lancette dell’orologio della politica italiana ritornano indietro di quasi sette anni e precisamente al 2018 quando, dopo le elezioni vinte da nessuno, nacque in extremis il governo giallo-verde con Luigi Di Maio e Matteo Salvini che si inventarono Giuseppe Conte, l’avvocato del popolo, presidente del Consiglio. Autori di questa sorta di miracolo sono Donald Trump e Vladimir Putin.

Scaricando Zelensky il tycoon e presidente Usa ha fatto un favore enorme a Mosca e alla Russia che punta a dialogare direttamente con la Casa Bianca tagliando fuori e dividendo l’Europa sempre più inconsistente, lacerata e provincia del mondo. Conte: “Zelensky? Trump la pensa come noi“. E Salvini: “Ha già fatto più di Biden“. Bastano queste due semplici frasi per far capire come nel giro di pochissimi giorni, neanche settimane, lo scenario politico sia profondamente cambiato.

Peccato che questo ritorno in politica estera, mai così importante come in questa fase storica, dell’asse M5S-Lega porti al rischio di una forte destabilizzazione sia del governo sia del cosiddetto campo largo. A Palazzo Chigi, nonostante Giorgia Meloni abbia un ottimo rapporto con Trump, queste accelerazioni anti-Ucraina (così come la freddezza leghista nel difendere Sergio Mattarella dagli assalti del Cremlino) non piacciono affatto. Anche e soprattutto perché per mesi e mesi la premier ha ribadito la litania del “pieno sostegno” a Kiev. Litania che oggi stride con le parole di Trump. 

E piacciono ancora meno ad Antonio Tajani, vicepremier e titolare degli Esteri, quindi della diplomazia italiana, che si trova spesso spiazzato a Bruxelles con i colleghi Ue dalle parole del leader leghista e anche lui vicepremier. In prospettiva queste divisioni potrebbero costare caro all’esecutivo e ripercuotersi fortemente anche su altri dossier come quelli economici (taglio delle tasse e rottamazione) e le riforme (Giustizia, premierato e autonomia regionale). Ma dall’altra parte non va certo meglio.

La maggioranza ampia e quasi totale del Partito Democratico – con in testa i moderati e i cattolici di Lorenzo Guerini (legatissimo alla Nato) e Dario Franceschini – sono fortemente ancorati a Bruxelles (e ovviamente alle parole di Mattarella) e intendono continuare a sostenere Kiev e certo vedono le parole di Trump e il suo feeling con Putin come fumo negli occhi.

Per non parlare poi di Carlo Calenda e Matteo Renzi e quindi per Elly Schlein diventa sempre più difficile, se non impossibile, costruire il campo largo, anche in vista delle prossime elezioni regionali. Davvero devastanti gli effetti potenziali e non solo del duo Donald-Vladimir sulla politica di casa nostra.

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