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Terremoto a Napoli, i Campi Flegrei sembrano un peccato originale: un errore che non si può espirare, radicato nella terra stesa, che nessuno ha scelto
C’erano prima della pizza, prima dei castelli e prima di Pompei, tra la natura più violenta e le esplosioni di meraviglia e vergogna. Terre che ribollivano, e ribollono ancora, con le loro bocche scostumate, non per volontà di nutrirsi, ma di cantare. I Campi Flegrei sembrano un peccato originale: un errore che non si può espiare, radicato nella terra stessa, che nessuno ha scelto. È un peccato senza colpevoli, ma che grida, ineluttabile, sotto i piedi di chi lo abita. Oggi, chi scrive dei Campi Flegrei? Chi ha stabilito che sia impossibile fare qualcosa? Chi ha deciso di dimenticarsene, abbandonandoli al loro destino?
Sembra che qualcuno, tra i potenti, pensi che sia naturale “lasciar andare il corso delle cose”, come si fa con tutto ciò che è sgradevole. Forse sono quelli che provano repulsione per chi è causa del proprio male… per chi è nato in un posto segnato da un peccato che non può essere redento. Un peccato che, secondo la teologia cristiana, ha tre caratteristiche: è universale, ereditario e ineluttabile. Concetti studiati da secoli, da Sant’Agostino al Catechismo della Chiesa Cattolica, che sembrano descrivere perfettamente la condizione di chi vive nei Campi Flegrei.
Questo peccato è universale, perché chiunque viva su quella terra sa che sotto i piedi qualcosa si muove e non si fermerà mai. È ereditario, perché si nasce con la consapevolezza che si vive su una terra instabile, imparando a ignorarla, a conviverci, a pensare che sia normale. Ed è ineluttabile, perché non importa quanto sia reale il pericolo: chi ha paura viene trattato come se “doveva aspettarselo”. Sant’Agostino parlava di una necessitas peccandi, un’inevitabilità che grava sull’uomo e che solo un intervento superiore può risolvere. Ma qui non ci sono assoluzioni, solo il paradosso di una paura giustificata che viene trattata come una colpa.
Così, l’intensa attività sismica che la popolazione sta vivendo non è percepita come un’emergenza. Non è un destino imprevisto, ma una colpa radicata nella terra e nel tempo: una condanna senza colpevole, una minaccia senza soluzione, un’eredità che chi nasce qui si porta senza averla scelto. A Napoli si dice “cornuti e mazziati“, ed è proprio così. Cornuti, perché il pericolo è reale. Mazziati, perché la paura viene umiliata. Il terreno si alza, le scosse aumentano, le case si incrinano, ma chi ha paura sente dire: “Cosa ci possiamo fare?”. L’assenza di un piano di emergenza chiaro, la mancanza di soluzioni concrete, l’inerzia generale non fanno altro che mortificare il terrore. Non ci sono alternative per chi non si sente al sicuro. Nessuno dice chiaramente cosa fare. E chi teme di restare sotto le macerie comincia a sentirsi sciocco, debole, esagerato. Ma non è la paura a essere sbagliata. È sbagliato che nessuno le dia dignità.
Chi vive nei Campi Flegrei è visto come “già colpevole”, ma questo non dovrebbe impedirgli di avere paura senza essere giudicato. Non sono né un politico né un geologo, ma credo che la vergogna di provare paura sia insopportabile quanto la paura stessa. Oggi, noi flegrei siamo solo persone che tremano. Vi prego, fate presto. Se chi è causa del proprio male è l’unico a poter piangere, fate un’eccezione. Qualcuno ci assolva, prima che sia troppo tardi.
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