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Stellantis, l’allarme di Tavares: lo spezzatino che (forse) non arriverà. Ma i conti fanno paura

Carlos Tavares non è mai stato un tipo da mezze parole. E nel suo libro “Un pilota nella tempesta”, e nell’intervista a Le Point, l’ex amministratore delegato di Stellantis, dieci mesi dopo il suo addio, non si limita a raccontare il divorzio burrascoso da John Elkann, ma lancia un vero allarme sul futuro della casa automobilistica.

“L’equilibrio fra Italia, Francia e Stati Uniti può rompersi”, avverte. E se ciò accadesse, lo scenario è da brividi. Gli americani si riprenderebbero le operazioni in Nord America, mentre un costruttore cinese potrebbe mettere le mani sul Vecchio Continente. In mezzo, le fabbriche europee, schiacciate tra Washington e Pechino. Dichiarazioni dure, certo. Ma quanto c’è di reale, e quanto di vendetta postuma da ex capo estromesso?

Partiamo dai fatti. Il primo semestre 2025 di Stellantis è stato un bagno di realtà: ricavi in calo del 13% a 74,3 miliardi di euro, perdita netta di 2,3 miliardi contro i 5,6 di utile dello stesso periodo 2024, margine operativo sceso allo 0,7%. La crisi ha radici chiare, domanda in calo in Europa e Nord America, cambio sfavorevole, tariffe doganali più pesanti, e una transizione elettrica che costa miliardi e non rende ancora abbastanza.

Tavares, si sa, non ha mai digerito la linea di Bruxelles sull’elettrificazione. “Dopo il Dieselgate abbiamo speso 50 miliardi per rincorrere i cinesi”, accusa nel libro. E i fatti, anche qui, gli danno qualche appiglio. BYD, MG, Nio e compagnia hanno ormai invaso l’Europa con veicoli elettrici di qualità crescente e prezzi che i costruttori europei faticano a pareggiare.

Stellantis ci si è pure infilata dentro. La partnership con la cinese Leapmotor, che a breve assemblerà vetture negli stabilimenti europei del gruppo, è nata sì come alleanza industriale, ma potrebbe anche trasformarsi in un cavallo di Troia. Infatti, come ha ironizzato Tavares, “se Stellantis dovesse fallire, loro potrebbero semplicemente ricomprarla”.

Nel frattempo, sei stabilimenti europei si preparano a fermarsi, almeno temporaneamente. Poissy, Saragozza, Tychy, e altri tre siti che forse Stellantis preferisce non nominare per evitare il panico sindacale. L’obiettivo è “evitare eccesso di scorte”. Tradotto, il mercato non assorbe, quindi meglio spegnere le linee che produrre auto invendute.

A Poissy la situazione è talmente delicata che circola l’ipotesi – rimbalzata su Les Echos – di una vendita dell’area ai qatarioti del Paris Saint-Germain per costruire il nuovo stadio. A Cassino e Pomigliano, in Italia, è tornata di “moda” la parola cassa integrazione.

Tuttavia, dopo il terremoto Tavares, Elkann ha scelto un manager di basso profilo ma con buona reputazione: Antonio Filosa. Il nuovo CEO non ha la verve del predecessore, ma è pragmatico. Ha confermato la guidance 2025, promettendo un “miglioramento sequenziale” nella seconda parte dell’anno, ma con un obiettivo realistico: margine a una cifra bassa, flussi di cassa in recupero, e zero illusioni. Il suo obiettivo è semplice: stabilizzare il gruppo e non farlo esplodere tra un continente e l’altro.

Nel frattempo, circolano anche voci di cessioni. Bloomberg parla di un fondo arabo interessato a Maserati, Alfa Romeo e Free2Move, la società di car sharing elettrico in perdita. Il piano sarebbe cedere i marchi più costosi da mantenere per fare cassa. Ma di certo, l’idea di “vendere gioielli per respirare” non è un segnale di forza.

A questo punto la domanda è inevitabile. Tavares sta esagerando o ha semplicemente avuto il coraggio di dire ciò che molti nel settore pensano sottovoce? La verità sta nel mezzo. Le sue previsioni, la divisione tra Europa e America, l’assorbimento da parte dei cinesi, non sembrano imminenti. Mancano i segnali industriali, i rumor finanziari e, soprattutto, gli interlocutori concreti.

Ma negare che il gruppo sia in una fase di vulnerabilità profonda sarebbe altrettanto miope. Le fabbriche europee arrancano, il modello di business scricchiola, e la competizione asiatica è nettamente più avanti. Insomma, Tavares non ha ragione oggi, ma potrebbe averne domani, e se Elkann continuerà a dismettere ciò che non rende e Filosa non troverà una rotta industriale chiara, la profezia potrebbe (forse) compiersi. Dopo tutto per un uomo che ha visto nascere Stellantis e l’ha guidata nel momento della sua massima espansione, non è una previsione lanciata a caso. Forse è una diagnosi.

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