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Sciopero generale: il costo per i lavoratori e per il Paese
Oggi, 3 ottobre, l’Italia si è fermata. Lavoratrici e lavoratori di tutti i settori, pubblici e privati, hanno incrociato le braccia rispondendo alla chiamata della CGIL per lo sciopero generale indetto “in difesa della Flotilla, dei valori costituzionali e per Gaza”. Una protesta che riporta al centro il significato politico e sindacale dello sciopero, ma che comporta inevitabilmente anche conseguenze tangibili sul piano economico.
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p data-end=”2007″ data-start=”1396″>Chi sciopera non lavora e quindi non percepisce retribuzione per le ore o le giornate di astensione. È una sospensione bilaterale degli obblighi contrattuali: il dipendente non presta la sua attività e il datore non paga il salario. Questo si traduce in una decurtazione dello stipendio del mese, a cui si aggiunge un impatto – seppur contenuto – sulle mensilità aggiuntive come tredicesima e quattordicesima, e in misura marginale anche sul Tfr. Lo sciopero, insomma, è una scelta di principio che passa anche dal portafoglio.
Ma il conto non si ferma alla busta paga individuale. Uno sciopero generale improvviso come quello del 3 ottobre, secondo quanto riporta Tgcom24, potrebbe avere un impatto non trascurabile sull’intera economia italiana. Le stime più prudenti parlano di centinaia di milioni fino a circa un miliardo di euro per una sola giornata di fermo.
Il calcolo parte da un dato semplice: con un Pil annuale di circa 2.000 miliardi di euro, ogni giorno feriale “vale” teoricamente 5,5 miliardi. Ovviamente nessuno sciopero blocca completamente tutte le attività produttive, perciò l’impatto reale è molto più basso. Tuttavia, quando la partecipazione è alta, il danno si fa comunque sentire e non può essere ignorato.
Un elemento che amplifica i costi è la mancanza di preavviso. Uno sciopero annunciato improvvisamente, senza il tempo per aziende e famiglie di riorganizzarsi, genera danni esponenzialmente maggiori rispetto a una mobilitazione programmata. Mancata riorganizzazione di turni e consegne, assistenza all’infanzia improvvisata, logistica in tilt. Insomma il costo nascosto di questa impreparazione pesa più della semplice astensione dal lavoro.
I settori più vulnerabili a un blocco improvviso sono quelli dei trasporti e della logistica. Porti e interporti, fulcro del commercio internazionale, rischiano interruzioni con penali contrattuali per ritardi nelle consegne, costi extra di magazzinaggio e inefficienze che si propagano a catena lungo l’intero sistema produttivo.
Il bilancio, quindi, si gioca su un doppio livello: da una parte la solidarietà internazionale e la difesa dei valori costituzionali; dall’altra la consapevolezza che fermare il Paese, anche solo per 24 ore, è una scelta che lascia un segno non solo politico ma anche economico.
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