Rinnovo Patente? Facile ed Economico

Dal trasporto pubblico locale alla sanità, passando per salario minimo e Gaza, Elly Schlein snocciola le proposte del Partito Democratico con un messaggio netto alla maggioranza. “Serve una politica che non lasci indietro nessuno”, dice. E sul trasporto pubblico lancia una sfida a Matteo Salvini: “Ecco la nostra proposta per un sistema sostenibile e gratuito per i giovani”. Un’intervista a tutto campo, tra numeri, visione sociale e attacchi al governo Meloni.

Segretaria, partiamo da un tema che le sta a cuore, il trasporto pubblico locale: gli utenti sono esausti e gli scioperi continui non aiutano. Qual è la ricetta del Partito Democratico?
Il Partito Democratico propone di rendere il trasporto pubblico locale gratuito per i giovani tra i 4 e i 24 anni appartenenti a famiglie con Indicatore della Situazione Economica Equivalente fino a 30mila euro. È una misura che aiuta concretamente le famiglie italiane, anche quelle del ceto medio, che spesso si trovano a dover sostenere costi pesanti per gli abbonamenti, soprattutto quando hanno più figli. La nostra proposta prevede un buono fino a 300 euro per il percorso casa-scuola o casa-università, includendo trasporti regionali e marittimi. È un modo per sostenere la mobilità sostenibile, ridurre il traffico, tutelare l’ambiente e garantire pari opportunità di accesso all’istruzione.

E chi studia lontano da casa? Come pensate di sostenere gli studenti fuori sede?
Per gli studenti fuori sede prevediamo un contributo di 250 euro all’anno per coloro che hanno una distanza significativa tra la residenza e la sede universitaria, sempre con Isee fino a 30mila euro. È un segnale concreto per quei giovani che decidono di intraprendere un percorso di studi lontano dalla propria città, spesso con costi di trasporto e vita molto alti. Abbiamo calcolato che l’intera misura richiederebbe circa 750 milioni di euro: 500 milioni per i percorsi casa-scuola, 150 milioni per i fuori sede e altri 100 milioni destinati a potenziare il trasporto pubblico locale, così da ampliare l’offerta e migliorare i servizi. Non è solo una questione di sconti, ma di diritto alla mobilità per le nuove generazioni.

Ha detto che Matteo Salvini si dimentica spesso di essere ministro dei Trasporti. In che senso?
Matteo Salvini sembra dimenticare che, da ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, dovrebbe occuparsi di questi temi cruciali per le famiglie italiane. La nostra proposta nasce da un lavoro sul territorio, costruito sulle buone pratiche che abbiamo sperimentato in Emilia-Romagna, quando ero vicepresidente, e in Campania, che hanno attivato misure concrete di sostegno alla mobilità, nonostante l’assenza di una politica nazionale di supporto. Anche città come Torino con Stefano Lo Russo e Firenze con Sara Funaro stanno facendo la loro parte. Noi crediamo che diritto allo studio e diritto alla mobilità siano due facce della stessa medaglia e vadano garantiti insieme, con un impegno chiaro da parte dello Stato.
 

Molte famiglie italiane hanno stipendi bassi e bollette care. Come si finanzia una misura di questo tipo?
Per garantire davvero il diritto alla mobilità bisogna agire su due fronti: da un lato serve una politica nazionale che sostenga la domanda, dall’altro bisogna finanziare adeguatamente il fondo per il trasporto pubblico locale. Le società che gestiscono il servizio e i sindacati hanno chiesto al governo 800 milioni per compensare l’aumento dei costi dovuto all’inflazione e mantenere gli stessi servizi. Il governo Meloni ha stanziato appena 120 milioni, una cifra del tutto insufficiente che costringe le aziende ad alzare i prezzi dei biglietti, scaricando i costi sulle famiglie. È un gioco furbo di Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che preferiscono lasciare i cittadini soli di fronte a costi crescenti invece di intervenire con politiche lungimiranti.

Passiamo alla sanità. Il Servizio Sanitario Nazionale è un pilastro del Paese, ma le liste d’attesa si allungano ovunque, anche al Nord. Di chi è la responsabilità?
Il Servizio Sanitario Nazionale è un’eccellenza che va difesa con forza. Per noi del Partito Democratico è una battaglia identitaria. Siamo di fronte a reparti che si svuotano, medici e infermieri costretti a turni massacranti e a una fuga di personale verso l’estero perché le condizioni sono insostenibili. Abbiamo proposto di investire 5,5 miliardi di euro in più per assumere nuovo personale, perché solo così si possono ridurre davvero le liste d’attesa. Il resto sono slogan e propaganda. Il decreto approvato a quattro giorni dalle elezioni europee, privo di coperture reali, è un segnale di superficialità preoccupante.

Parla di smantellamento del sistema sanitario pubblico da parte della destra. Può chiarire?
Sotto il governo Meloni il numero di italiani che rinunciano alle cure è salito a 6 milioni, da 4,5, in un solo anno: il 10% della popolazione, e nella maggior parte dei casi le rinunce avvengono per le liste d’attesa infinite o per motivi economici. Chi ha i soldi va dal privato, chi non li ha resta senza cure. Questo non è solo un problema di disinteresse, ma un disegno politico che punta a indebolire il sistema pubblico a favore delle assicurazioni sanitarie private integrative. Stiamo parlando di un trend che era stato invertito prima della destra e che ora sta precipitando ai minimi storici degli ultimi quindici anni. Non possiamo permetterci di abbandonare le aree interne, le periferie e le zone di montagna. Inoltre, il governo Meloni ha ridotto il numero delle Case di Comunità finanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, un errore che pagheremo in termini di accesso alle cure nei territori.

Può fare un esempio concreto di cosa significa oggi accedere al Servizio Sanitario Nazionale?
Qualche giorno fa mi ha scritto una donna che si era rotta il piede ed era stata ingessata. Ha provato a prenotare la visita per togliere il gesso tramite il servizio pubblico: la prima data disponibile era luglio 2026. Parliamo di un anno di attesa per una prestazione elementare, un’ingiustizia che descrive meglio di ogni slogan la realtà che tanti cittadini vivono ogni giorno.
 


 

Secondo Istat e Fondazione Gimbe, gli italiani hanno speso 4 miliardi in più di tasca propria per curarsi. È sostenibile?
Quei 4 miliardi in più di spesa sanitaria privata sono la stessa cifra che il governo Meloni ha utilizzato per la riforma dell’Irpef, una misura che ha portato, nella migliore delle ipotesi, 15 euro al mese in tasca alle famiglie. Questo non è un utilizzo intelligente delle risorse pubbliche. Quando abbiamo indicato le priorità di spesa, non siamo andati a toccare le riforme chiave del governo: abbiamo proposto di recuperare le risorse necessarie dai sussidi ambientalmente dannosi, che valgono 5,5 miliardi, invece di continuare a incentivare installazioni di caldaie a metano che l’Europa ha già stabilito che dovranno essere dismesse entro il 2040. Questo significa fare scelte di visione, non scaricare costi sui cittadini.

A Gaza i morti superano i 100mila. Cosa si aspetta dalle istituzioni italiane ed europee?
Il governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu sta bombardando scuole, ospedali, rifugi di civili, con oltre 50mila morti, di cui 15mila bambini, in violazione di ogni principio di diritto internazionale. L’assedio ha tolto acqua, cibo ed elettricità, mentre si spara persino a chi cerca un pezzo di pane. Di fronte a questo, abbiamo chiesto al governo italiano una condanna netta di questi crimini, in una piazza con 300mila persone insieme a Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra. Chiediamo che l’Unione Europea sospenda l’accordo di cooperazione con Israele e che l’Italia sospenda il memorandum di cooperazione militare con Tel Aviv. Occorre un embargo totale sulle armi verso Israele e il riconoscimento dello Stato di Palestina, come hanno fatto Norvegia, Francia, Spagna e Irlanda. Due popoli e due Stati significa riconoscere finalmente il diritto del popolo palestinese a uno Stato.

Il lavoro povero resta un dramma in Italia. Perché crede che il salario minimo sia la soluzione giusta?
Il salario minimo non è una misura simbolica, ma uno strumento di giustizia sociale per tutelare chi oggi guadagna meno di 9 euro l’ora, che non è lavoro ma sfruttamento. Lo dimostra l’esperienza di altri Paesi come la Germania, dove l’introduzione del salario minimo ha contribuito a ridurre le differenze salariali tra uomini e donne e non ha prodotto effetti negativi sull’occupazione. Prima di bocciare l’idea, Giorgia Meloni e Antonio Tajani dovrebbero guardare con serietà alle esperienze europee. Il lavoro povero non può più essere considerato un destino ineluttabile, è una ferita per l’Italia e per le famiglie che non riescono a vivere dignitosamente nonostante lavorino.

C’è un modello economico a cui guarda come riferimento per l’Italia?
Il modello spagnolo è un esempio virtuoso: la Spagna ha investito in politiche industriali, ha abbattuto il costo dell’energia grazie al disaccoppiamento tra il prezzo del gas e quello dell’elettricità, ha sviluppato infrastrutture per le energie rinnovabili e ha stretto accordi tra imprese e sindacati per ridurre il precariato. Ha aumentato del 50% il salario minimo e ha utilizzato con efficienza i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In Italia, invece, abbiamo perso dieci mesi preziosi per responsabilità di un governo che non ha saputo decidere. L’11 e il 12 luglio faremo una grande iniziativa del Partito Democratico sulle politiche industriali per ascoltare il mondo del lavoro e presentare la nostra proposta per far ripartire il Paese.

A proposito della Spagna: Pedro Sanchez si è rifiutato di puntare il 5% del pil (3,5% in armamenti e 1,5% in sicurezza) sulla spesa militare come invece sottoscritto da altri Paesi Nato, compresa l’Italia. Il suo pensiero?
È un tragico errore. Giorgia Meloni avrebbe dovuto ottenere, come ha fatto Pedro Sánchez in Spagna, un approccio diverso e più equilibrato con i partner internazionali. Lo ha detto persino il capo militare dell’Alleanza Atlantica che si può rafforzare la difesa comune senza arrivare al 5% del Prodotto Interno Lordo. In Italia, 445 miliardi di euro in spesa per difesa e sicurezza sono una cifra insostenibile se non si spiegano bene le coperture: dove pensa il governo Meloni di trovare queste risorse senza tagliare sanità, scuola, welfare e pensioni? È un obiettivo irrealistico che rischia di diventare l’ennesimo regalo a Donald Trump, nell’incapacità del governo italiano di dire “no” agli alleati politici e ideologici di destra.

Vuole dirmi che se foste voi al governo rinegoziereste questi accordi?
Certamente, tanto più che questa possibilità è prevista dai trattati, che fissano al 2029 la “finestra” per rivedere alcuni punti. E io spero che per allora al governo ci saremo noi del centro-sinistra.

Sulle regionali in Puglia e Campania, come vanno le trattative con le altre forze di opposizione?
Stiamo lavorando con tutti per costruire coalizioni ampie e vincenti, come abbiamo fatto alle ultime elezioni che abbiamo vinto. Con testardaggine e spirito unitario, continuiamo a dialogare con tutte le forze politiche che vogliono opporsi alla destra. Sono certa che riusciremo a trovare un accordo anche in Puglia e Campania, perché la posta in gioco è troppo alta per dividerci. A breve saremo in grado di dare i nomi che correranno, dopo l’accordo raggiunto nelle Marche. 

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