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Rottigni ridisegna l’Abi, ma è quella di 5 anni fa. L’analisi
Ma è davvero una rivoluzione quella che il direttore generale Marco Elio Rottigni ha impresso all’Abi? Il piano di ristrutturazione della Confindustria delle banche è stato approvato ieri dall’esecutivo che si è riunito a Milano, sotto la presidenza del presidente Antonio Patuelli. Rottigni è il primo dg che arriva all’Abi (è in carica dallo scorso luglio) da una associata, a differenza dei suoi predecessori, Giuseppe Zadra e Giovanni Sabatini, entrambi di scuola Consob. E non è un caso che per la riorganizzazione si sia fatto affiancare da società esterne.
Il riassetto dell’Associazione è stato confezionato, infatti, con il contributo fattivo di Bain, Deloitte ed Egon Zehnder, tre top player della consulenza strategica. Dopo otto mesi di lavoro, la struttura è stata ridisegnata in cinque aree: ricerche e consulenza, internazionalizzazione e innovazione, comunicazione e relazioni istituzionali, sindacale, operatività interna. I funzionari di Palazzo Altieri hanno confrontato il nuovo modello organizzativo con quello varato a dicembre 2019 e hanno preso atto che la nuova Abi, alla fine della giostra, è identica a quella costruita da Sabatini: cinque anni fa le direzioni erano di fatto le stesse cinque: studi e consulenza, gestite dal vicedg vicario Gianfranco Torriero (confermato); relazioni istituzionali e media; sindacale; relazioni europee; amministrazione e risorse umane.
A ben guardare, dunque, l’unica novità è l’allargamento della direzione affari internazionali/europei all’innovazione, ambito comunque già presidiato da diversi anni. Per il resto, tutto come prima, compresa la figura del secondo vicedirettore generale, Chiara Mancini, che è rimasta al suo posto. Financo il terzo vicedg, Pierfrancesco Gaggi, nonostante sia vicino all’età per la pensione, è rimasto, a sorpresa, nell’organico, ancorché come senior advisor di Rottigni.
Al quale, adesso, spetta il compito di spiegare ai quadri e ai dirigenti dell’Abi, in una convention convocata a Napoli per il 26 e 27 febbraio, cosa cambierà sul piano sostanziale. I dirigenti dell’Assobancaria temono riposizionamenti non in linea con i loro percorsi professionali e pesanti ridimensionamenti dei ruoli. E c’è pure non poca preoccupazione per quanto riguarda gli esuberi: una cinquantina in tutto i prepensionamenti individuati da Rottigni, costretto a fare i conti, però, in queste ore, con le esose richieste di “scivoli” e incentivi all’esodo da parte della “resistenza” interna.
Sta di fatto che l’attività, con una struttura snellita, si baserà su otto sfide: la trasformazione digitale e l’innovazione tecnologica e i connessi rischi, la regolamentazione, la sostenibilità e i cambiamenti climatici, la concorrenza da parte di attori non tradizionali, l’internazionalizzazione con particolare riguardo agli scenari geopolitici, le evoluzioni demografiche, l’aumento delle disuguaglianze sociali e la gestione dei talenti e delle risorse umane. Etichette che, tuttavia, non sembrano rappresentare una novità clamorosa rispetto a quanto fatto dall’Abi nei 15 anni targati Sabatini.
Pure i comitati tecnici ricalcano la storia, visto che strutture di questo tipo esistevano già quando il capo di Palazzo Altieri era Zadra. Il rilancio dell’Associazione delle banche incrocia la crisi, più generale, della rappresentanza e dei corpi intermedi. E, se il futuro dell’Abi, sul piano organizzativo, prende plasticamente spunto dal passato, più di un banchiere si chiede quale sia concretamente l’idea di Rottigni. Il coniglio non è ancora uscito dal cilindro.
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