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Modello francese, come predica Cacciari, tutti insieme sui pochi punti condivisi. Schlein lo ha capito
Alla fine ha ragione Massimo Cacciari che diverse volte su Affaritaliani.it ha dichiarato che per vincere e battere il Centrodestra meloniano servono le “ammucchiate” come in Francia, dove la sinistra ha messo insieme socialisti riformisti, comunisti, verdi e altre formazioni decisamente più moderate. Le elezioni vinte in Umbria e perse per un soffio in Liguria dimostrano plasticamente che solo così il campo largo – brutta parola che il Partito Democratico vuole cancellare dal vocabolario politico – riesce a essere competitivo.
D’altronde il Centrodestra non ha certo la stessa posizione su tutti i temi, anzi, è diviso a partire dalla collocazione europea fino a diversi dossier economici e anche sulla visione del cantiere riforme. Ma la maggioranza di governo è molto abile nel mettere sotto il tappeto la sabbia delle differenze e di concentrarsi su quei punti che hanno in comune. E stavolta Elly Schlein lo ha capito.
Stando al voto in Emilia Romagna e Umbria oggi il PD vale circa il 25% a livello nazionale ma da solo – antica vocazione maggioritaria di veltroniana memoria – non può certo competere con il Centrodestra. E sono giorni infatti che la segretaria Dem insiste su un punto: “Partiamo da ciò che ci unisce“. E quindi il no alla manovra economica e le poche risorse alla sanità, con il sostegno allo sciopero di medici e infermieri di ieri, il no all’autonomia anche se mezza azzoppata dalla Consulta, il no al premierato e anche alla riforma del sistema giudiziario vista come punitiva per la Magistratura. Senza dimenticare altre battaglie comuni come quella per il salario minimo garantito per legge. Meglio evitare di parlare di politica estera e soprattutto di sostegno all’Ucraina.
Ma come tenere tutti insieme? La prima variabile è il M5S e il Pd spera che passi la linea “progressista” di Giuseppe Conte, altrimenti a farsi da parte. Non è esclusa una scissione dei duri e puri di Beppe Grillo ma comunque vada a finire l’assemblea costituente resterà o il M5S o qualcosa di nuovo, magari guidato da un moderato e pragmatico come Stefano Patuanelli, che resti legato al Centrosinistra e a intese con il Pd. Su Alleanza Verdi Sinistra e il suo 6% circa il Nazareno dubbi, anzi AVS fa anche da collante Dem-5 Stelle.
C’è poi la gamba centrista della coalizione che in Umbria, ad esempio, era nascosta in quattro liste civiche che contenevano candidati sia di Azione sia di Italia Viva che, pur non avendo eletto consiglieri, hanno contribuito fortemente al successo di Stefania Proietti. Se con Carlo Calenda alla fine un’intesa si potrà trovare, magari con un patto Pd e nuova formazione politica nata dalla fusione tra Azione e Più Europa (“in politica le parole mai e impossibile non esistono”, spiegano sia fonti Dem che di Azione), come superare il veto di Conte su Matteo Renzi che, probabilmente, ha fatto perdere Andrea Orlando in Liguria?
Semplice, non domani, non settimana prossima ma il progetto è quello di un rientro dell’ex premier e ciò che resta di Iv (che comunque vale il 2-2.5% e per vincere ogni voto serve) all’interno della stesso Pd. Quindi ad esempio, oltre a Renzi, Maria Elena Boschi e Teresa Bellanova. La collocazione sarebbe quella chiaramente riformista, legata a Lorenzo Guerini che non ha mai minacciato la scissione ma più volte ha criticato le scelte di Schlein. D’altronde, anche negli Stati Uniti e nel Regno Unito Democratici e Laburisti sono partiti plurali, con varie anime (che in Italia diventano correnti) ma che quando ci sono gli appuntamenti elettorali si uniscono. Poi può andar male come negli Usa o bene come negli Uk, ma questa è la strada. L’ammucchiata alla francese come predica Cacciari, con il ritorno di Renzi nel Pd e con l’incognita M5S, è il piano di Schlein per essere competitivi con il Centrodestra meloniano.
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