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Confronto Meloni-Giorgetti, nessuna lite. Inside
Il primo punto da chiarire è che il governo Meloni non cadrà sulla politica estera. Su questo non ci sono dubbi, malgrado le palesi divisioni della maggioranza di Centrodestra come si è visto al Parlamento europeo sul voto per il piano di riarmo da 800 miliardi di euro di Ursula von der Leyen. “Ma sono posizioni divergenti note da tempo che non minano la tenuta dell’esecutivo”, assicurano dai piani alti di Fratelli d’Italia. Il congresso della Lega del 5 e 6 aprile a Firenze è praticamente blindato.
Non ci sono oppositori interni a Matteo Salvini che uscirà riconfermato e rafforzato anche dal sostegno internazionali di alleati importanti come Viktor Orban e Marine Le Pen che verranno apposta nel capoluogo toscano per appoggiare il vicepremier e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture. Certo, probabilmente della Liga Veneta e quindi dai delegati vicini al presidente Luca Zaia, ci sarà la richiesta di un maggior impegno e di una più forte attenzione sul tema dell’autonomia regionale da correggere in Parlamento dopo i rilievi della Corte Costituzionale.
Ma su questo fronte Salvini è tranquillo perché a garanzia della riforma dell’autonomia c’è il ministro Roberto Calderoli che insieme al vice-segretario Alberto Stefani (veneto) stanno lavorando giorno e notte per arrivare il prima possibile in Aula. I giornali cartacei – spiegano da FdI – hanno molto enfatizzato una discussione tra la presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, lite smentita dai rispettivi staff. In realtà si sarebbe trattato di un confronto, franco ma non acceso nei toni, su quale atteggiamento tenere a Bruxelles sul dossier del riarmo, fermo restando che l’Italia non userà i fondi di coesione e che le spese militare verranno scorporate dal Patto di Stabilità.
In casa FdI, chi ha parlato con la premier assicura che non ci sono problemi di tenuta per il governo e che Salvini è libero di esprimere le sue posizioni pacifiste, di ritagliarsi un ruolo super-trumpiano e di continuo attacco costante e quotidiano alla presidente della Commissione europea. Questo caratterizza la Lega, crea forse qualche attrito nella maggioranza, ma certo non mette a rischio l’esecutivo.
La politica estera viene rappresentata ufficialmente dal ministro e dal presidente del Consiglio. Quindi Antonio Tajani, segretario di Forza Italia e membro del PPE fortemente ancorato all’Europa che anzi mira al progetto dell’esercito comune, come voleva Silvio Berlusconi. E il PPE è anche il partito di von der Leyen. La posizione di Meloni è leggermente più sfumata rispetto a quella di Tajani, ma chiaramente non è quella ufficiale di Salvini. La premier punta a scardinare l’asse Parigi-Berlino, contesta l’attivismo di Macron e spera che il nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz non si leghi a doppio filo con Macron.
Ma soprattutto il punto chiave sono i rapporti con gli Stati Uniti di Donald Trump. E questo la vera carta, che può essere o non essere il jolly, per Meloni, soprattutto dopo la minaccia di dazi al 200% sui vini europei (una batosta per l’Italia ma anche per la Francia). La presidente del Consiglio, anche grazie al lavoro fatto negli States dal suo fedelissimo Carlo Fidanza, sa di avere un canale privilegiato con il tycoon e intende giocare la partita del ponte Ue-Usa fino in fondo.
Aspettando prima che si apra uno spiraglio per la pace in Ucraina e poi con un viaggio (che a Palazzo Chigi starebbero già preparando) a Washington per un faccia e faccia con Trump giocando il ruolo della vera leader europea. E Meloni serve molto anche a Ursula perché von der Leyen sa che è l’unica davvero apprezzata dal presidente Usa. Sullo sfondo anche la partita dei satelliti Starlink di Elon Musk, che non a caso non verrà decisa prima di Pasqua ma a maggio se non a giugno proprio per avere un’arma in più per trattare con Trump.
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