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La premier sa che la somma dei partiti di Centrodestra si attesta tra il 45 e il 46% e con questo sistema è convinta di ritornare a Palazzo Chigi

Il tema non è ancora all’ordine del giorno delle forze politiche e nemmeno sulle prime pagine dei giornali, impegnati a raccontare la guerra dei dazi con Donald Trump, il caos a Bruxelles sul bilancio Ue presentato da Ursula von der Leyen che non è piaciuto quasi a nessuno e ovviamente i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. Oltre alla riforma della giustizia che martedì 22 luglio passerà al Senato in seconda lettura.

Ma, sottotraccia, il tema della nuova legge elettorale in vista delle elezioni politiche del 2027 – che si arrivi o no all’approvazione del premierato entro fine legislatura (difficile) – tiene banco nelle discussioni di parlamentari e anche leader politici. Che ci sia o meno un asse segreto tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein nessuno lo conferma, ovviamente, ma da Fratelli d’Italia, fonti ai massimi livelli, spiegano che l’impianto generale della riforma del sistema di voto è già più o meno stabilito.

Anche se le interlocuzioni con gli alleati di maggioranza sono soltanto in fase preliminare. Il punto chiave sarà quello di una legge sul modello delle elezioni regionali ovvero un proporzionale con sbarramento basso, più 3% che 4, e con premio di maggioranza per il partito o la coalizione che arriva prima nelle urne. Il premio, pari al 55% dei seggi a Montecitorio e a Palazzo Madama, quasi certamente dovrebbe scattare – secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it – con il 42% dei voti.

E la premier, sempre ben consigliata dalla sorella Arianna Meloni, sa perfettamente che la somma dei partiti di Centrodestra si attesta tra il 45 e il 46% e con questo sistema è convinta di ritornare a Palazzo Chigi per altri cinque anni. Quanto al capitolo preferenze, malgrado in molti le invochino sul modello Europee e Regionali, sarà molto difficile che vengano introdotte.

La scusa (che tanto scusa non è) è che questo sistema in voga nella Prima Repubblica rischia di essere “pericoloso” in “certe zone d’Italia” (al Sud), anche se la motivazione principale è che tutti i leader delle principali forze politiche hanno tutto l’interesse di portare in Parlamento i loro fedelissimi per non rischiare “sorprese” nelle urne. E quindi decidere chi – ad esempio nel Pd – mettere da parte (in particolare la minoranza interna moderata e riformista).

Si va quindi verso un sistema di circoscrizioni proporzionali piccole sul territorio, che favoriscono i grandi partiti, con liste bloccate e molto corte (quattro o sei nomi al massimo con l’alternanza uomo-donna come vuole la legge) in modo che l’elettore sappia perfettamente chi vota (la motivazione ufficiale) e soprattutto i segretari di partito sappiano già più o meno chi andrà in Parlamento (la motivazione vera).

C’è poi la clausola che potrebbe unire Meloni e Schlein. Ovvero, con o senza premierato, indicare sulla scheda elettorale il candidato alla presidenza del Consiglio della coalizione, come se fosse il sindaco nei comuni sopra i 15mila abitanti o il presidente di regione.

In questo modo, sondaggi alla mano, Meloni verrebbe sicuramente riconfermata e bloccherebbe anche l’eventuale concorrenza che potrebbe arrivare da Pier Silvio Berlusconi laddove scendesse davvero in politica come leader e candidato di Forza Italia. Dall’altra parte, la segretaria del Pd avrebbe gioco facile, dopo la probabile vittoria alle Regionali in autunno, a imporre il suo nome sia alla minoranza interna sia al Movimento 5 Stelle (che nei sondaggi vale la metà dei Dem) sia ad AVS, che comunque non ha problemi ad accettare Schlein candidata premier.

È evidente che con questo sistema Italia Viva di Matteo Renzi entrerebbe nel Centrosinistra ma certamente non Azione di Carlo Calenda che costruirebbe un’alternativa di centro distante dai due poli partendo da Azione e allargandosi ad altre forze moderate ed europeiste. Obiettivo non certo il 3 o 4%, ampiamente alla portata, ma sopra il 5% in modo da portare alla Camera e al Senato anche un’opposizione costruttiva, pragmatica e non ideologica. Uno schema che piace moltissimo a Meloni.

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