Rinnovo Patente? Facile ed Economico
“L’Iran sta bluffando e sanguinando, la guerra potrebbe accelerare la caduta del regime. E Khamenei…” – L’intervista all’analista iraniano Shahin Modares
Guerra Iran–Israele: siamo davvero arrivati a un cambio di regime in Iran, alla luce delle voci su un possibile salvacondotto per Khamenei?
Internamente, le condizioni per un cambio di regime sono presenti da tempo. La società iraniana è esausta—non solo politicamente, ma anche ecologicamente. Anni di cattiva gestione, corruzione e controllo militarizzato delle risorse idriche e del territorio hanno portato il Paese sull’orlo del collasso. La guerra potrebbe accelerare la caduta del regime, ma non è l’unica forza in gioco. Le voci su un possibile salvacondotto per Khamenei suggeriscono che alcune fazioni dello Stato sono consapevoli di ciò che sta arrivando—sia attraverso la guerra, la rivolta o l’invivibilità ambientale. Se nulla cambia, vaste regioni dell’Iran diventeranno presto inabitabili a causa della scarsità estrema di acqua. Il cambiamento non è più un’opzione; è una questione di sopravvivenza.
L’Iran può permettersi una guerra totale, dal punto di vista militare ed economico? O sta bluffando?
L’Iran sta bluffando—e sta sanguinando. Militarmente, è sovraesposto e internamente frammentato. Economicamente, il sistema è al limite, sostenuto solo da repressione, contrabbando e illusioni strategiche. Ma c’è un dato ancora più cruciale: l’Iran non può permettersi una guerra dal punto di vista ambientale. Le principali zone agricole stanno seccando. Le dighe stanno distruggendo ecosistemi. Il regime può fingere di essere pronto al conflitto totale, ma ha già perso la battaglia più importante—quella contro il collasso ecologico. Ogni bomba, ogni deviazione di risorse, accelera l’autodistruzione del Paese.
Qual è il vero obiettivo della Guida Suprema nella regione? Distruggere Israele o consolidare l’egemonia sciita?
Entrambi gli obiettivi nascono dallo stesso delirio: pensare che esportare ideologia possa mascherare il fallimento interno. L’ambizione di Khamenei di guidare un asse sciita regionale serve a coprire la catastrofica cattiva gestione del Paese. L’ostilità verso Israele funziona come collante ideologico, ma mentre il regime costruisce alleanze con milizie all’estero, lascia l’Iran marcire dall’interno. Le falde acquifere stanno crollando. I deserti avanzano. Le città stanno sprofondando. La Repubblica Islamica cerca il dominio, ma non riesce nemmeno a garantire acqua potabile ai suoi cittadini. Non si può costruire un impero quando il cuore geografico sta morendo.
Come vivono oggi i giovani iraniani sotto il dominio teocratico?
I giovani iraniani vivono una contraddizione forzata: connessi digitalmente, ma soffocati fisicamente. Assistono alla scomparsa dei loro fiumi, alla salinizzazione delle loro terre agricole, alla dissoluzione del loro futuro. La Gen Z non si ribella solo contro un’ideologia; rifiuta un sistema che gli sta letteralmente rubando la possibilità di vivere nel proprio Paese. Ciò che affrontano è più della repressione politica: è un’ecocidio autorizzato dallo Stato. Ecco perché la loro resistenza va oltre gli slogan—è un istinto di sopravvivenza.
C’è ancora spazio per una rivoluzione popolare in Iran? O l’unica via è una vittoria straniera?
Lo spirito rivoluzionario è vivo, ma lo spazio per agire si sta riducendo—politicamente e fisicamente. Il collasso ambientale sta già causando spostamenti interni, fratturando le comunità. L’assenza di un’opposizione unita e capace ha reso la pressione esterna più rilevante, non meno. Se un intervento esterno disattivasse l’apparato repressivo del regime, un movimento popolare potrebbe rapidamente reclamare il futuro. Ma il tempo stringe. Senza un cambiamento, l’Iran affronterà non solo l’autoritarismo, ma l’inabitabilità.
Come giudica la posizione dell’Italia e dell’Europa sul conflitto? E un possibile intervento statunitense?
L’Europa, inclusa l’Italia, resta per lo più reattiva—bloccata in una logica di avversione al rischio, mentre l’Iran si disintegra lentamente. L’approccio diplomatico post-JCPOA non ha più senso senza considerare il collasso ecologico in atto. Le capitali occidentali devono capire: l’Iran non è solo un problema geopolitico. È una bomba ecologica a orologeria. Gli Stati Uniti—soprattutto sotto una dottrina in stile Trump—potrebbero rispondere con la forza militare in caso di provocazione. Ma qualsiasi intervento che non tenga conto delle conseguenze ambientali e che non preveda un piano concreto per la gestione del post-guerra (in particolare per acqua, cibo ed energia) è destinato al fallimento. Lanciare missili senza valutare l’impatto ecologico o senza preparare un piano per il recupero sostenibile è come demolire una casa senza sapere che poggia su una falda che sta cedendo. Puoi colpire il bersaglio—ma lasci dietro di te un paesaggio avvelenato. Un vero cambio di regime non riguarda solo l’eliminazione delle infrastrutture militari. Significa ricostruire le istituzioni, restaurare gli ecosistemi e porre le basi per un futuro vivibile. Altrimenti, la guerra potrà anche finire, ma il collasso continuerà.
Rinnovo Patente? Facile ed Economico
Questo articolo è stato pubblicato in origine su questo sito internet