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Aumenti delle bollette e la demagogia italiana: che cosa c’è davvero dietro la narrazione politica 

Nelle ultime settimane, l’aumento delle bollette elettriche in Italia è diventato un tema caldo nel dibattito politico e mediatico. La platea degli attori coinvolti è ampia e si interroga sulle cause e soluzioni, spesso ricorrendo a toni populisti e semplificazioni che alimentano la demagogia. Ma cosa c’è di vero dietro questa narrazione politica? Quali sono le reali cause dell’aumento dei costi energetici? In che modo la politica utilizza il tema per fini propagandistici?

Perché l’energia costa così tanto 

L’aumento del costo dell’energia elettrica è il risultato di una combinazione di fattori complessi. Da un lato, la dipendenza dell’Italia dalle importazioni energetiche e dalle crisi internazionali, a partire dal conflitto russo-ucraino, ha reso il mercato particolarmente instabile. Dall’altro, dinamiche speculative spesso aggravano la situazione, causando rincari difficili da assorbire per le aziende del settore. Inoltre, una quota significativa delle bollette italiane è costituita da imposte e contributi che molto spesso alterano in maniera sproporzionata il prezzo finale al consumatore.

Tuttavia, il vero nodo critico è la difficoltà di espandere le fonti rinnovabili a causa di ostacoli burocratici. Un esempio lampante è la realizzazione di nuovi impianti: mentre in Spagna servono pochi mesi, in Italia i tempi si allungano fino a cinque anni, frenando il processo di transizione ecologica. Una situazione paradossale, considerando che la posizione strategica dell’Italia nel Mediterraneo le consentirebbe di produrre energia rinnovabile sufficiente a coprire l’intero fabbisogno nazionale.

Retorica e demagogia non aiutano

Di fronte a questo scenario, la politica italiana ha spesso scelto la strada della semplificazione, trasformando il tema dell’energia in uno strumento di consenso piuttosto che affrontarlo con soluzioni strutturali. Negli ultimi anni si è sentito di tutto: promesse irrealistiche di riduzione immediata delle bollette, demonizzazione delle energie rinnovabili, misure anti-mercato come il tetto ai prezzi e perfino proposte di esproprio ai danni di aziende produttrici, colpevoli solo di cercare di far quadrare i bilanci.

Questo approccio ha avuto tre conseguenze gravi per il Paese. Ha alimentato la disinformazione, riducendo il ruolo di molte aziende del settore a semplici “prenditori”, senza riconoscerne il contributo allo sviluppo e all’innovazione dato all’Italia. Ha favorito soluzioni tampone di carattere emergenziale, senza mai affrontare davvero le cause profonde del problema. Infine, ha frenato gli investimenti strutturali, poiché l’instabilità politica e il continuo rimpallo di responsabilità hanno scoraggiato gli operatori del settore, rallentando la transizione verso un sistema più efficiente e meno esposto alle fluttuazioni dei mercati globali.

Il caso Calenda

L’ultimo esempio di questa retorica politica è arrivato da Carlo Calenda. Il leader di Azione, nei giorni scorsi, ha pubblicato su Instagram un video in cui attacca il governo, i partiti di opposizione e alcune aziende del settore energetico, cercando di intercettare consensi con un messaggio tanto diretto quanto discutibile.  

La sua tesi appare piuttosto bizzarra: da un lato, critica le rinnovabili e l’idroelettrico, dall’altro accusa un’azienda in particolare di speculare sui prezzi per massimizzare i profitti. Poi propone un “prezzo equo” per l’energia, richiamandosi al modello francese. Tuttavia, il paragone con la Francia appare poco realistico, considerando che il Paese transalpino si basa prevalentemente sul nucleare, un sistema profondamente diverso da quello italiano, sia in termini di produzione che di regolamentazione del mercato energetico.  

Il risultato? L’ennesima semplificazione che alimenta una narrazione polarizzante e che fa sorgere un paio di domande. La prima riguarda l’operato dello stesso Calenda al governo: durante il suo mandato da ministro dello Sviluppo economico (2016-2018) cosa ha fatto per evitare che il Paese arrivasse a questa situazione?

La seconda verte invece sulle attenzioni di Calenda per le grandi imprese che, come noto, sono tra i principali sostenitori del suo partito. Tra queste c’è un gruppo che opera in un settore energivoro, che da anni riceve sussidi pubblici e che ora invece lamenta l’elevato costo dell’energia. Non a caso, proprio in queste ore Calenda ha presentato in Parlamento un’interrogazione per lamentare la situazione, prendendo proprio la stessa azienda che lo finanzia come esempio. E così,  mentre il caro energia colpisce soprattutto le famiglie e le piccole imprese, l’attenzione del leader di Azione si focalizza su chi già riceve sostanziosi aiuti.

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