Rinnovo Patente? Facile ed Economico

Nel cuore dell’industria automobilistica cinese si nasconde una verità scomoda.
Dietro i numeri record di esportazioni e le cronache di successo di un Paese che ambisce a dominare il mercato globale delle auto, si cela una pratica che altera le regole e aggira i dati: migliaia di veicoli nuovi, mai utilizzati, vengono venduti all’estero come “auto usate a chilometraggio zero”. Un’operazione che, se da un lato consente alle case automobilistiche cinesi di alleggerire la pressione della domanda interna in calo, dall’altro rischia di distorcere i mercati e minare la fiducia nei numeri ufficiali del settore.
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p data-end=”1543″ data-start=”940″>Come rivelato da un’approfondita inchiesta di Reuters, il sistema funziona così: un’auto nuova esce dalla catena di montaggio, viene acquistata da un esportatore o da un concessionario, registrata formalmente in Cina come veicolo immatricolato, e infine rivenduta all’estero come “usata”. Il trucco burocratico consente di etichettare il veicolo come di seconda mano, facilitandone l’ingresso in mercati dove i dazi sulle auto nuove sono più elevati o dove l’accesso per i brand cinesi è ancora limitato. Tuttavia, si tratta di vetture che non hanno mai toccato l’asfalto: sono “usate” solo sulla carta.
A far crescere la preoccupazione è il fatto che questa pratica non solo è nota, ma è attivamente sostenuta da numerosi governi locali cinesi. Secondo quanto emerso dall’inchiesta, almeno 20 amministrazioni – tra cui quelle di Guangdong, Sichuan e Shenzhen – hanno adottato misure per incentivare l’export di queste auto “false usate”: licenze agevolate, infrastrutture dedicate, magazzini gratuiti e persino eventi promozionali per attrarre operatori del settore. L’obiettivo? Gonfiare le statistiche di crescita economica e attirare investimenti locali, in un sistema dove la performance di una città può influenzare direttamente la carriera dei funzionari pubblici.
Il fenomeno ha iniziato ad attirare attenzione solo di recente, dopo che il presidente di Great Wall Motor ha sollevato il problema pubblicamente. E la reazione del People’s Daily, la voce del Partito Comunista Cinese, non si è fatta attendere: una dura condanna della vendita di auto usate a chilometraggio zero all’interno del Paese e un invito esplicito a un intervento normativo deciso. Ma se sul mercato domestico si è alzato un velo di indignazione, lo stesso non si può dire per l’export, dove la pratica continua indisturbata.
Del resto, i numeri sono impressionanti. Su 436.000 veicoli usati esportati dalla Cina nel 2024, si stima che il 90% fosse a chilometraggio zero. E parliamo solo della punta dell’iceberg: secondo la China Passenger Car Association, nel 2023 la Cina ha esportato oltre 6,4 milioni di veicoli. Una parte significativa – circa il 6% – sarebbero in realtà auto “usate” di nome, ma nuove di fatto. Una strategia che ha aiutato la Cina a superare il Giappone come principale esportatore mondiale di automobili, ma che solleva interrogativi inquietanti.
Dietro questo meccanismo si cela una guerra dei prezzi senza precedenti, iniziata nel 2020 e tuttora in corso. Le case automobilistiche, strette tra costi crescenti e domanda stagnante, sono pronte a tutto pur di contabilizzare una vendita in più. Anche vendere in perdita, come raccontano numerosi concessionari contattati da Reuters. E se l’acquirente è disposto a portare l’auto oltre confine, meglio ancora: meno problemi regolatori, nessun impatto sulla saturazione del mercato interno, e la possibilità di dichiarare il veicolo come venduto.
Non sorprende che tra le auto coinvolte non ci siano solo modelli a benzina – ormai meno desiderati dai consumatori cinesi – ma anche veicoli elettrici, oggetto di generosi sussidi statali all’acquisto. In molti casi, il business funziona così bene che un’auto elettrica acquistata per 40.000 yuan in Cina può essere rivenduta in Asia centrale con un margine di 10.000 yuan, secondo quanto riferito da un rivenditore di Chongqing. Ma non è tutto oro quel che luccica: con l’aumentare della concorrenza – inclusi rivenditori improvvisati e persino influencer attivi su TikTok – anche questo margine si sta rapidamente erodendo.
E le conseguenze non sono solo economiche. Crescono i timori di dumping automobilistico, soprattutto in Europa e Medio Oriente. Paesi come la Russia hanno già iniziato a prendere contromisure: nel 2023 un decreto ha vietato l’ingresso di auto usate a chilometraggio zero di marchi cinesi già presenti ufficialmente nel Paese. La Giordania ha stretto le maglie delle definizioni normative, richiedendo un intervallo temporale più ampio tra immatricolazione e esportazione per qualificare un’auto come usata. Altri Paesi potrebbero seguire.
Anche all’interno della Cina si levano voci critiche. Zhu Huarong, presidente della casa automobilistica Changan, ha parlato apertamente dei rischi reputazionali legati a questa pratica: vendere auto nuove come usate, sostiene, può “danneggiare gravemente l’immagine dei brand cinesi” all’estero. E per chi investe nel settore, la domanda sorge spontanea: quanto sono affidabili le cifre di vendita comunicate dalle case automobilistiche cinesi? Quanti veicoli sono effettivamente venduti a clienti finali, e quanti invece seguono questo percorso contorto, che inizia e finisce dentro il sistema?
Xing Lei, consulente esperto del settore automotive cinese, non ha dubbi: “La trasparenza è il problema principale. Gli investitori stranieri iniziano a chiedersi quanta parte delle vendite sia reale e quanta parte sia frutto di artifici contabili. E quando la fiducia vacilla, l’intero sistema ne risente”.
Il sostegno a questo tipo di export da parte dei governi locali può apparire bizzarro, ma ha una logica stringente all’interno di un’economia pianificata centralmente. Una singola transazione su un’auto a chilometraggio zero genera un valore commerciale doppio rispetto a una vendita tradizionale, tra produzione e vendita. E ogni punto in più sul PIL locale può trasformarsi in una promozione per un funzionario, o sbloccare fondi per nuove infrastrutture. In questo schema, le auto diventano semplici strumenti numerici.
La Cina, oggi primo esportatore mondiale di auto, rischia di pagare un prezzo alto per questa corsa al risultato. Se i mercati internazionali inizieranno a chiudersi, se i consumatori perderanno fiducia, se gli investitori esteri inizieranno a dubitare della credibilità del sistema, l’intero impianto potrebbe incrinarsi. Intanto, le auto continuano a lasciare i porti cinesi con un’etichetta sbagliata e una storia non raccontata.
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