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Mps, Bpm punta in alto ma la sola cordata italiana non basterà

Mps, zoccolo duro del Belpaese, mette il freno alle prede estere e si blinda con una cordata tutta italiana. Dopo che il Mef ha messo sul mercato il 15% della banca, mantenendo il controllo del 51% e incassando 1,1 miliardi di euro, il titolo della banca senese è schizzato in alto a Piazza Affari, segno che l’operazione — e la scommessa del ministro dell’Economia Giorgetti — hanno elettrizzato mercati e investitori.

Il 5% è stato rilevato da Banco Bpm, il 3% dalla controllata Anima, mentre il gruppo Caltagirone e Delfin (finanziaria della famiglia Del Vecchio, già presente in Mediobanca e Generali) hanno acquisito ciascuno una quota del 3,5%. Gli occhi, però, ora sono puntati su Banco Bpm, le cui azioni sono in rialzo di oltre il 3%. Finora, il gruppo guidato da Giuseppe Castagna ha sempre dichiarato di non essere interessato a scalare Mps, ma ora che ha messo un piede dentro, l’ipotesi che voglia entrarci totalmente non è affatto da escludere. Ma quali previsioni possiamo fare sul risiko bancario? Affaritaliani.it ha approfondito il tema con Giuseppe de Falco, partner dello studio legale Ughi e Nunziante.

Mps reagisce bene a Piazza Affari e anche Banco Bpm, che cosa dobbiamo aspettarci dal titolo?

Con la vendita del 15%, il MEF scende dal 26,7% all’11,7% e quindi, anche se rimane il primo azionista, apre di fatto alla contendibilità della banca, ciò che fa lievitare il prezzo.  

Con la privatizzazione, l’italianità di Mps è davvero garantita o l’ingresso di più attori italiani frammenta l’istituto, rendendolo potenzialmente più appetibile per investitori esteri?

La privatizzazione non garantisce l’italianità anche perché l’autorizzazione è nelle mani della BCE e risponde a principi UE, né MPS appare così strategica da poter essere oggetto di limitazione per investimenti diretti. L’ingresso di più attori italiani non necessariamente significa frammentazione. Dipende da quanto si coordinino tra di loro. Poi non dimentichiamo che i primi due azionisti di BPM sono Credit Agricole e Black Rock.

L’impegno di Bpm a non superare il 10% in Mps è credibile, o potrebbe preludere a una futura integrazione più profonda?

Non è un impegno giuridicamente vincolante. Poiché le banche in questi anni hanno fatto il pieno di profitti e i tassi di interesse stanno calando, è probabile che si cerchino aggregazioni per almeno tre motivi. Incremento della rete di vendita di fondi; tagli di personale; economie di scala per la riduzione dei costi in un mercato che diventa sempre più concentrato e sempre più aggredito dal mondo fintech.

Delfin e Caltagirone possono davvero fungere da “barriera” contro capitali stranieri?

Possono rappresentare una “barriera” per soggetti stranieri ma solo agendo di concerto con un importante player bancario.

La vendita delle quote da parte del Mef si rivela una scelta strategica per alleggerire i conti pubblici, ma quali sono i possibili effetti sull’autonomia futura di Mps?

La vendita mira anche a favorire il superamento dell’ottica “stand alone” che non sembra strategicamente sostenibile per MPS. 

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