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Iveco passa a Tata Motors, le mire di Elkann dopo la cessione 

Cosa succede quando una delle holding più potenti d’Europa smette di giocare in casa e cambia completamente campo da gioco? Succede che si chiama Exor, che la guida è saldamente nelle mani di John Elkann, e che ogni mossa (anche la più banale) è in realtà parte di un disegno ben preciso. L’ultima è arrivata proprio ieri, quando Exor ha annunciato l’uscita da Iveco, cedendo la sua quota del 27,1% a Tata Motors, in un’operazione da 3,8 miliardi di euro. Per chi conosce la storia del gruppo Agnelli, è la chiusura di un’epoca. Per Elkann, forse, è solo un altro passo in avanti.

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p data-end=”1484″ data-start=”771″>L’addio a Iveco non è però un caso isolato. Negli ultimi dieci anni, Exor ha sistematicamente venduto asset storici, alleggerendo il portafoglio per concentrarsi su settori a più alto potenziale. E l’elenco è lungo. Il primo colpo era arrivato già nel 2015 con la cessione di Cushman & Wakefield per 1,28 miliardi di dollari, seguita a ruota dalla vendita delle quote in Banijay e Banca Leonardo.

Poi è toccato a Magneti Marelli, storico gioiello della componentistica automobilistica italiana, venduto tra il 2018 e il 2019 a KKR/Calsonic Kansei per una cifra tra i 5,8 e i 6,2 miliardi. Allora a vendere fu formalmente FCA, ma la regia era tutta Exor, che incassò plusvalenze superiori al miliardo. Era il preludio della grande ritirata. Da lì in poi, le operazioni si sono moltiplicate. Il colpo grosso è arrivato poi nel 2022 con PartnerRe, compagnia riassicurativa acquisita per 6,9 miliardi e venduta a Covéa per 9,3 miliardi: oltre due miliardi di plusvalenza netta.

Poi Exor ha iniziato a “disfarsi” anche delle partecipazioni di peso, e a febbraio 2025 ha venduto un altro 4% di Ferrari per 3 miliardi di euro, riducendo la partecipazione al 20,8% ma restando azionista di controllo. Un’operazione che ha sorpreso i mercati e fatto capire che nemmeno il Cavallino è più intoccabile. L’ultimo anello a cadere è stato Iveco. Con 36.000 dipendenti, di cui 14.000 in Italia, una capitalizzazione di oltre 4 miliardi e un primo trimestre 2025 chiuso con ricavi in calo del 10% e utili dimezzati, la storica azienda torinese, erede del ramo “commerciale” della vecchia Fiat, passerà nelle mani degli indiani.

Tata punta ad ampliare la propria rete industriale e commerciale in Europa, ma c’è chi teme che userà Iveco come porta d’ingresso per piazzare veicoli costruiti in India. Il gruppo, però, prova a smorzare i timori e assicura che l’identità di Iveco verrà rispettata, che la sede resterà a Torino, e che non ci saranno ristrutturazioni né chiusure di stabilimenti. 

Con quest’ultima operazione, quindi, si restringe ancora di più il perimetro industriale di Exor e la sensazione è quella di un lento ma costante disimpegno dal settore che ha fatto la fortuna del gruppo per oltre un secolo. Ma Elkann non ha mai fatto mistero della sua visione. Già nel 2022 scriveva agli azionisti che la sanità è il futuro. E i fatti confermano che non era una battuta.

Exor oggi è dentro Institut Mérieux (10%), Lifenet Healthcare (45%) e Philips (17,5%), ex-conglomerato tech oggi concentrato su medical devices. Ma Elkann non guarda solo alla sanità. Sta già puntando su settori più promettenti, come la tecnologia e l’intelligenza artificiale – ne è prova la collaborazione avviata con OpenAI – e sul lusso, dove Exor ha investito in Louboutin. In fondo, è lì che si concentrano oggi i margini più alti e una concorrenza meno brutale rispetto all’automotive. 

Dal 2015 a oggi, Elkann ha guidato una vera e propria dismissione di massa. Solo contando le vendite principali – PartnerRe, Ferrari, Magneti Marelli, Iveco – Exor ha incassato oltre 18 miliardi di euro. Se aggiungiamo le uscite minori, si arriva a superare i 20 miliardi. Alla fine, forse, la domanda non è se Elkann stia facendo bene o male, ma se l’Italia sia pronta a fare a meno del suo principale capitalista industriale. Perché, piaccia o no, Exor ha già cambiato serratura. 

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