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In Libano la tregua è tale finche la si chiama così, ma questo non sta escludendo nell’ultima settimana un costante scambio di colpi tra le forze armate di Israele e le truppe di Hezbollah. E, va detto, a essere in prima fila nel calpestare le condizioni del cessate il fuoco negoziato da Francia e Stati Uniti è principalmente Israele. Non si possono mettere sullo stesso piano i ridotti colpi di mortaio del Partito di Dio sul Nord di Israele e l’estesa campagna di bombardamenti che sta proseguendo dopo il ritiro dell’Israel Defense Force dal Paese dei Cedri. In due mesi di aggressione al Libano, Israele ha da un lato colpito duramente Hezbollah, decapitato la sua leadership e ridimensionato il suo arsenale e dall’altro compiuto un vero e proprio massacro di civili, con oltre 5mila morti in larga parte esterni a qualsiasi organizzazione militare.
Se Israele considera una minaccia ogni mossa fuori dal suo confine
Benjamin Netanyahu ha cantato vittoria per i risultati ottenuti contro Hezbollah, ma la paranoia della sicurezza continua e Israele ha drasticamente abbassato la soglia tale per definire una minaccia ogni mossa fuori dal suo confine. Questo sta portando ad attacchi aerei e missilistici contro il Sud del Libano e i sobborghi di Beirut, che anche Usa e Francia hanno definito potenzialmente in violazione del cessate il fuoco negoziato.
È invecchiata male la previsione dell’Institute for the Studies of War, che parlava del cessate il fuoco del 26 novembre come un’attestazione di una sostanziale resa dei militanti sciiti e asseriva che “la vittoria di Israele e la sconfitta di Hezbollah hanno cambiato drasticamente il panorama della sicurezza in Medio Oriente limitando la capacità di Hezbollah di scoraggiare Israele”. Tel Aviv non ha avviato il ritorno nelle proprie case dei civili sfollati dopo il 7 ottobre 2023 nel Nord del Paese per i raid del Partito di Dio e, anzi, ha continuato la pressione. Il motivo? La resistenza militare di Hezbollah si è fatta tenace e ora si teme che un’applicazione concreta dei termini del cessate il fuoco, col ripristino della sovranità libanese sulle aree oggetto del conflitto e lo schieramento dell’esercito di Beirut in luogo di militanti e israeliani, cristallizzi una situazione in cui tatticamente lo Stato Ebraico ha fatto dei progressi a favore di Hezbollah.
Ma Hezbollah non è ancora sconfitto
Tutto si può dire fuorché Hezbollah sia sconfitto e raso al suolo. Il Mossad e l’Idf hanno eliminato i leader della formazione e condotto una dura campagna di terra, costata almeno 80 morti in un mese e mezzo a Tsahal, l’esercito di terra di Tel Aviv, ma la capacità di deterrenza degli sciiti non è stata eliminata.
A Hezbollah restano in mano artiglieria, proiettili, missili e, soprattutto, le sue roccaforti storiche. Mentre Netanyahu ha visto esaurirsi l’euforia bellica che ha costellato Israele di fronte ai primi successi tattici e ha bisogno di tenere più alta la tensione, violando costantemente la tregua senza romperla nella sostanza, per continuare a mantenere la sindrome della fortezza assediata che ne garantisce la permanenza al potere di fronte a una società sempre più radicalizzata. Nel frattempo, il continuo massacro a Gaza, gli scontri in Cisgiordania, la tenuta dell’Iran nonostante bombardamenti e raid e un clima internazionale sempre più critico dello Stato Ebraico contribuiscono ad alzare la soglia della tensione. Rafforzando nella coalizione di destra israeliana la necessità di continuare, a vario titolo, i conflitti come fine, non come mezzo, per garantire prima ancora della sicurezza del Paese quella della propria permanenza al potere. Destinata a essere messa a repentaglio da ogni accordo di mediazione.
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