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Il bilancio politico dell’anno che sta per chiudersi
 

Dal punto di vista politologico, il 2025 italiano si chiude con una fotografia nitida: il baricentro della politica resta saldamente nel campo del centrodestra, con Giorgia Meloni in posizione dominante, mentre l’opposizione guadagna qualche metro sul terreno della competitività ma fatica a produrre una leadership alternativa convincente. È stato un anno segnato da riforme (alcune rallentate), cantieri sia simbolici che materiali, un’agenda internazionale più assertiva e da conflitti – giudiziari e sociali – che hanno toccato nervi sensibili del Paese.

Sul piano della leadership personale, Giorgia Meloni ha continuato a monopolizzare attenzione e consenso. All’inizio dell’anno, un sondaggio di Lab21 la incoronava “leader del 2025” con un risultato intorno al 45% delle preferenze, staccando nettamente Elly Schlein e Giuseppe Conte. Nel corso dell’estate, le rilevazioni YouTrend per Sky TG24 confermavano Meloni come la figura politica con la maggiore fiducia tra gli italiani, pur registrando una quota non marginale di giudizi critici verso l’operato complessivo del governo (e, naturalmente, con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella stabile in cima all’apprezzamento). A dicembre, la media dei sondaggi effettuati indicava FdI solido intorno al 28–30% e un centrodestra complessivamente avanti, con Lega e FI  entrambi tra 8 e il 9%.

Questi numeri restituiscono una doppia narrativa: da un lato, Meloni rafforza il proprio profilo di leadership, ma dall’altro l’esecutivo è chiamato a convincere di più su efficacia e risultati percepiti. Il governo, tuttavia, ha raggiunto importanti traguardi simbolici: nell’ottobre 2025 ha superato i tre anni di durata, diventando il terzo esecutivo più longevo della storia repubblicana, con un documento ufficiale di Palazzo Chigi che rivendica misure e “milestone”; in agosto ha oltrepassato la soglia dei “mille giorni”, celebrata anche da analisi sullo stato complessivamente buono della coalizione nonostante alcune sue dinamiche interne.

Se Meloni è la vincitrice del 2025, tra i vicepremier il quadro è più sfumato. Antonio Tajani mantiene un profilo di affidabilità e una fiducia personale mediamente superiore a quella di altri colleghi di governo; Matteo Salvini resta centrale nella narrazione mediatica ed è stato saldamente riconfermato alla guida della Lega, ma non registra un livello di fiducia comparabilmente elevato.

Nell’opposizione, Elly Schlein ha consolidato un PD attorno al 21–22%, ma non ha sfondato nel gradimento personale: la distanza da Meloni resta ampia nelle misure di “leadership appeal”. Giuseppe Conte ha vissuto un’annata bifronte: qualche recupero del M5S nelle intenzioni di voto verso fine anno (intorno al 13–13,5%), ma senza un corrispondente aumento della fiducia personale, che rimane stabile o in lieve flessione. Il dato politico è che l’“opposizione unita” è l’unica vera novità competitiva del 2025: gli studi comparati sulle regionali e le stime di alcuni istituti suggeriscono che, nei collegi uninominali, il “campo largo” potrebbe insidiare la supremazia del centrodestra, arrivando persino a superarlo di un paio di punti se includesse anche Azione — sempre che la coesione possa reggere.

In chiave istituzionale, tre dossier hanno scandito l’anno: premierato, autonomia differenziata, migrazioni. La proposta di elezione diretta del Presidente del Consiglio, presentata nel 2023, ha completato solo una lettura parlamentare e nel 2025 è rimasta sullo sfondo, complici un calendario affollato e la necessità di costruire maggioranze qualificate. L’autonomia differenziata ha attraversato un campo minato: mobilitazioni, iniziative referendarie e pronunce giurisprudenziali ne hanno ridisegnato portata e tempi; analisi di think tank e studiosi hanno evidenziato le criticità in termini di equità e gestione finanziaria, con segnalazioni della Commissione UE sul contesto macroeconomico italiano (debito alto, produttività debole), che impone prudenza sulle riforme strutturali.

Sul capitolo migrazioni, il 2025 ha visto la prosecuzione della strategia estera del governo attraverso il Piano Mattei: report e aggiornamenti parlamentari indicano un ampliamento geografico dei partner africani, una maggiore integrazione con i programmi UE (Global Gateway) e un’architettura finanziaria che combina fondi nazionali, fondi multilaterali e garanzie SACE. La traduzione in risultati sul campo è però la vera prova del nove ed è comunque da rimandare a tutto il 2026.

Sul piano interno, il governo ha riacceso i riflettori sul ponte sullo Stretto di Messina. Le procedure sono state accelerate e l’opera è stata rilanciata come segnale politico di modernizzazione e di riequilibrio territoriale. La contro-narrazione insiste su costi, impatto ambientale e priorità alternative, ma il messaggio politico è chiaro: spingere su un “simbolo-Paese” per marcare la differenza rispetto alle stagioni dei rinvii. Anche i documenti ufficiali sull’azione di governo nei tre anni evidenziano infrastrutture e investimenti come pilastri del racconto dell’esecutivo.

In sintesi, il 2025 ha consolidato la supremazia del centrodestra e la leadership di Giorgia Meloni. L’opposizione ha smesso di inseguire a vuoto e, quando si presenta unita, diventa competitiva. Le riforme chiave richiedono tempo, guidabilità parlamentare e coesione sociale: su premierato e autonomia si giocherà una parte della credibilità dell’esecutivo. L’agenda internazionale segna un cambio di passo, ma deve tradursi in risultati misurabili. La politica italiana chiude quindi l’anno con un motto implicito: meno annunci, più esecuzione. È su questa dicotomia tra “storytelling” e risultati effettivi che si giocherà il 2026 che sta per arrivare.

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