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Parla l’esperto dell’ISPI: “L’ONU bloccata tra veti, interessi divergenti e crisi di legittimità”
“L’architettura delle Nazioni Unite non è all’altezza delle sfide della nostra epoca”. Queste le parole della presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo intervento all’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Ma perché l’Onu sembra rimanere inerte dinanzi ai grandi conflitti internazionali che stanno lacerando il tessuto geopolitico globale? Quali sono i suoi poteri? A fare chiarezza è Matteo Villa, Senior Research Fellow presso l’ISPI, che ai microfoni di Affaritaliani spiega i motivi per i quali questa organizzazione, seppur imponente, non possieda in realtà il potere concreto di operare per la pace: “Può solo agire come “voce del mondo”, ossia fare appelli, condanne, inviti a fermare le violenze. Ma non può intervenire concretamente”
La presidente Meloni ha dichiarato che l’ONU non è adatta ad affrontare le sfide del presente. Quali sono i principali limiti che impediscono all’Onu di svolgere un ruolo efficace nei conflitti contemporanei?
“Chiaramente ha ragione, ma è qualcosa che sappiamo già da decenni: purtroppo, l’ONU non è adeguata. È la struttura stessa dell’organizzazione a non esserlo, e non può nemmeno essere riformata. L’ONU può funzionare solo quando c’è un accordo generale su come dovrebbe operare il sistema internazionale, cioè quando gli interessi dei principali attori sono allineati. Altrimenti, tornano sempre a prevalere i rapporti di forza sulle regole.
L’ONU è costruita così, per lasciare spazio agli Stati. Anche se si pensa che sia il luogo della cooperazione internazionale, in realtà non lo è: è uno spazio in cui gli Stati impongono i propri interessi. Basta vedere com’è composto il Consiglio di Sicurezza: ci sono cinque membri permanenti che possono porre il veto su qualunque decisione. È evidente che così non può essere adeguata ad affrontare le sfide del presente.
In aggiunta, stiamo vivendo un’epoca in cui le distanze tra i Paesi aumentano, emergono potenze con interessi sempre più divergenti da quelli occidentali, visioni del mondo profondamente diverse. In questo contesto, trovare un terreno comune è molto difficile. Per questo l’ONU non è adeguata: può funzionare solo se le grandi potenze sono d’accordo, cosa che accade molto di rado.
Meloni ha ragione a dire che non è il luogo adatto per risolvere le crisi, anche se resta l’unico spazio che abbiamo per parlarne.”
Per quale motivo, fino ad oggi, l’ONU non è intervenuta concretamente nei conflitti in corso?
“Perché è sempre bloccata. Può intervenire solo quando c’è consenso tra tutti. Di conseguenza, riesce a muoversi soltanto in conflitti minori, che non contrappongono direttamente le grandi potenze.
Oggi ci sono 11 missioni di peacekeeping nel mondo, cioè missioni con truppe sul campo. Anche queste, però, non evitano i conflitti: al massimo cercano di contenerli. Sono tutte in contesti come l’Africa, alcune zone del Medio Oriente, Haiti… luoghi dove non c’è uno scontro diretto tra grandi potenze.
Invece, quando parliamo di Ucraina — invasa da uno dei membri permanenti — o di Gaza — che per gli Stati Uniti è un tema strategico su cui pongono sistematicamente il veto a protezione di Israele — è impossibile per l’ONU imporsi e far sentire una voce unitaria. E questo non cambierà: sarà sempre così”.
E Trump, che ruolo ha in tutto questo?
“Trump è il grande convitato di pietra. È vero che tutti i Paesi cercano di strumentalizzare l’ONU dall’interno, usandola per dare forza alla propria voce — perché l’ONU senza gli Stati non esiste — ma Trump va oltre. Non solo sostiene che l’ONU non sia adeguata: arriva a dire che è parte di un complotto contro gli Stati Uniti. E in più, forse ha intenzione di tagliare i fondi.
Si tratta di una decisione radicale, molto più incisiva del semplice riconoscimento del blocco dell’ONU. Gli Stati Uniti, che finanziano circa il 22-23% del bilancio dell’organizzazione, hanno annunciato che entro la fine dell’anno decideranno se continuare a erogare i fondi. Questo potrebbe comportare un taglio pari a un quarto o a un quinto delle risorse disponibili. Ne deriva un secondo problema significativo: non solo l’ONU è paralizzata, ma si trova anche in una grave crisi di legittimità proprio da parte del Paese che ne è stato il principale finanziatore fino all’anno scorso”.
Sono presenti dei peacekeepers in Ucraina e a Gaza?
“Assolutamente no, non ci sono. Le missioni di peacekeeping attive nel mondo si trovano in aree di crisi minore, come la Repubblica Democratica del Congo o Haiti. Ma a Gaza, no, non c’è nessuna presenza militare ONU. L’ONU riesce a entrare solo con gli aiuti umanitari, e lo stesso vale per l’Ucraina: ci sono aiuti umanitari, ma nessun intervento con truppe sul campo.
Questo perché, oltre alla mancanza di consenso, c’è un altro limite strutturale del peacekeeping: l’ONU non può inviare truppe in un Paese se non è lo stesso Paese a invitarla ufficialmente. Quindi è richiesto un consenso esplicito da parte del governo sul cui territorio dovrebbero operare le forze.
È per questo che l’ONU è bloccata nelle grandi crisi. Può solo agire come “voce del mondo”, fare appelli, condanne, inviti a fermare le violenze. Ma non può agire concretamente”.
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