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Israele e Iran: cosa pensa realmente la popolazione iraniana e quali sono le possibili conseguenze future. Intervista alla scrittrice e attivista
Il nuovo conflitto tra Israele e Iran sta provocando gravi tensioni e profonde sofferenze in Medio Oriente, con effetti che superano i confini della regione e suscitano preoccupazioni a livello globale. Per questo motivo, Affari italiani ha deciso di approfondire la questione ascoltando l’autorevole voce di Farian Sabahi, ricercatrice senior in Storia contemporanea presso l’Università dell’Insubria e delegata per gli Affari istituzionali e diplomatici presso il DISUIT (Dipartimento di Scienze Umane e dell’Innovazione per il Territorio). Specializzata sull’Iran e sullo Yemen e anche autrice dei libri Storia dell’Iran (Saggiatore) e Noi donne di Teheran (Jouvence), Sabahi ha illustrato i sentimenti e le percezioni attuali della popolazione iraniana riguardo al conflitto con Israele, offrendo inoltre una chiara analisi delle possibili conseguenze interne all’Iran in caso di vittoria o sconfitta.
Qual è la percezione diffusa tra la popolazione iraniana riguardo all’escalation del conflitto con Israele?
Non possiamo generalizzare: gli abitanti dell’Iran sono circa 90 milioni, distribuiti su un territorio grande cinque volte e mezza l’Italia, con posizione diverse in merito alla politica. La Repubblica islamica è un regime illiberale, violento, che reprime il dissenso. In Iran vi sono persone che appoggiano il regime e ne sposano l’ideologia, mentre altri che sostengono la vecchia monarchia dei Pahlavi e altri ancora nelle fila dei gruppi armati di sinistra nella diaspora e in parte ancora nel Paese.
Detto questo, la democrazia non si esporta con le bombe e i bombardamenti a tappeto dell’aviazione militare israeliana, che colpisce i quartieri residenziali e le infrastrutture, stanno mietendo centinaia di vittime in Iran e facendo migliaia di morti. Per questo motivo, c’è una rabbia crescente nei confronti di Israele ma anche dell’Occidente che troppo spesso si fa promotore dei diritti umani ma non sta fermando la mano di Netanyahu.
Quali sono i sentimenti prevalenti nelle strade di Teheran (paura, rabbia, rassegnazione?)?
Dapprima stupore per il bombardamento di venerdì notte, a ridosso del sesto round di colloqui sul nucleare. Dopodiché paura e tanta rabbia nei confronti di Israele e della comunità internazionale. A tal proposito, le due premi Nobel per la Pace iraniane, Shirin Ebadi e Narges Mohammadi, così come i due registi cinematografici Jafar Panahi e Mohammad Rasoulof — tutti noti oppositori del regime — hanno chiesto la fine dei bombardamenti di Israele.
La Guida Suprema Ali Khamenei può essere considerata un obiettivo strategico concreto per Israele?
Indubbiamente sì. E non si capisce perché non sia stato preso di mira subito, venerdì notte, insieme al capo dello stato maggiore dell’esercito Bagheri, al capo dei pasdaran Salemi e per ultimo il nuovo capo di Stato maggiore Ali Shadmani.
Esiste realmente, dal punto di vista militare o politico, la possibilità che Netanyahu consideri un attacco diretto alla leadership iraniana? Oppure si tratta più di una strategia retorica?
Netanyahu ha già fatto fuori una parte della leadership iraniana. Non è retorica, sono i fatti.
Alla luce delle recenti dichiarazioni di Donald Trump e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, quali sono le posizioni ufficiali dell’Occidente nei confronti dell’Iran? In particolare, che cosa ne pensa della linea adottata dagli Stati Uniti durante il vertice del G7 di ieri in Canada?
In questi anni l’UE e gli USA hanno sempre dato un appoggio incondizionato a Israele, anche nel corso del genocidio di Gaza. Siamo purtroppo testimoni del fallimento della diplomazia e del mancato rispetto del diritto internazionale.
Nel caso in cui Israele riuscisse a infliggere un colpo decisivo all’Iran, quali potrebbero essere le conseguenze interne per il regime degli ayatollah? È realistico immaginare un indebolimento o addirittura una caduta del sistema politico-religioso iraniano, oppure la leadership troverebbe il modo di rafforzare il proprio controllo sfruttando il conflitto come strumento di coesione interna?
Di certo un indebolimento ulteriore di un paese già attanagliato da crisi economica, sanzioni internazionali, inflazione, disoccupazione, corruzione. Dubito che gli iraniani abbiano intenzione di accogliere Netanyahu oppure l’erede al trono dei Pahlavi come loro salvatori. È più probabile un ricompattamento interno di fronte all’aggressione militare israeliana.
Era successo già negli anni 80, quando il dittatore iracheno Saddam Hussein aveva invaso l’Iran dando avvio alla cosiddetta “guerra imposta”, presa poi a pretesto dal regime iraniano per reprimere il dissenso interno. Temo si potrebbe riproporre lo stesso copione. E infatti, proprio ieri la magistratura di Teheran ha condannato a morte un uomo accusato di spionaggio nei confronti di Israele. Lo scenario peggiore sarebbe un colpo di Stato dei pasdaran.
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