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Solo nel 2023, almeno 115 milioni di euro sono confluiti dagli Stati Uniti ai think tank che influenzano il dibattito politico dell’UE

Un’attenta analisi di Follow the Money, giornale investigativo (appena insignita del Premio Daphne Caruana Galizia per il giornalismo 2025, per l’inchiesta che ha svelato le reti internazionali e i meccanismi economici che hanno consentito alla Russia di eludere le sanzioni sul petrolio attraverso la cosiddetta flotta ombra) ha rilevato come i think tank più influenti che operano a Bruxelles riceverebbero un terzo di tutti i loro finanziamenti da aziende e filantropi statunitensi. Solo nel 2023, almeno 115 milioni di euro sono confluiti dagli Stati Uniti ai think tank che influenzano il dibattito politico dell’UE, secondo l’analisi. Si tratta di un totale di 350 milioni di euro che i think tank hanno ricevuto da finanziatori europei ed extraeuropei, e di gran lunga la somma più consistente da un singolo paese.  

“La quantità di fondi provenienti dagli Stati Uniti è semplicemente scioccante dal punto di vista politico perché sostanzialmente si tratta di un’interferenza esterna strutturata nel corso di molti, molti decenni”, ha affermato il politologo Inderjeet Parmar, che ha condotto ricerche approfondite sui think tank. Dietro i fondi ci sono spesso aziende private, come Google, Microsoft e Meta, la società madre di Facebook, interessate a influenzare le politiche dell’UE. L’analisi mostra che le tre aziende da sole hanno speso un totale di oltre 7 milioni di euro nel 2023 per i più importanti think tank di Bruxelles.  

“L’UE ha un programma normativo molto importante e molte politiche elaborate da Bruxelles vengono adottate anche da altri Paesi”, ha affermato sempre a Follow the money Dieter Plehwe, politologo e ricercatore presso il Centro di Scienze Sociali WZB di Berlino. “Dato che la regolamentazione di stampo europeo spesso interferisce con il capitalismo di stampo statunitense, gli Stati Uniti cercano di intervenire il prima possibile”. Tra questi, i più dipendenti dal denaro degli Stati Uniti erano il World Resources Institute, la Brookings Institution e l’Atlantic Council – insieme, hanno rastrellato quasi la metà dei fondi. Ognuno di loro ha ottenuto circa la metà o più dei loro finanziamenti dagli Stati Uniti.

Negli USA i think tank servono il sistema politico americano in un modo peculiare, quasi interstiziale. In teoria sono il ponte che collega il mondo accademico (che vive di teorie e ricerche) con quello politico (che necessita di visioni operative ma con una base solida di ricerca). In realtà un think tank ben connesso può anche svolgere compiti molto operativi: scrivere le leggi, riempire le posizioni burocratiche vuote con personale competente (o presunto tale dalla società). Questi think tank, sarebbero anche ottimi fornitori di ospiti, ben “selezionati” per convegni, conferenze, talk show, autori di libri e opinion leader che scrivono su testate nazionali o internazionali. Di fatto, sono coloro che guidano molte delle scelte politiche americane.

Ed ora, secondo l’inchiesta di Follow the money, l’influenza dei think thanks sembra allargarsi anche all’Unione europea. Dal 2019, i think tank hanno avuto più di 700 incontri con la Commissione, come dimostra un’analisi dei dati disponibili. Sempre secondo fonti del giornale investigativo i think tank american avrebbero scelto anche il loro “cavallo di Troia” dentro la Commissione europea. E sarebbe un pezzo da novanta e cioè il potentissimo capo di gabinetto di Ursula Von der Leyen (secondo i maligni una sorta di presidente ombra) Björn Seibert, capo dello staff. Il giornale ha scoperto che Seibert si sarebbe regolarmente consultato con i think tank settimane, e a volte solo pochi giorni, prima di eventi cruciali, come dimostrano i documenti ottenuti tramite la Freedom of Information Act (FOI), tra cui il discorso sullo Stato dell’Unione Europea (SOTEU), un discorso molto atteso che delinea le priorità di von der Leyen per l’anno. Ha convocato riunioni con i think tank in vista di tre discorsi sullo Stato dell’Unione Europea durante il primo mandato di von der Leyen: nel 2020, 2022 e 2023.

Questi eventi sembrano aver avuto un impatto: un incontro del 2020 per “contribuire con le proprie intuizioni sullo stato dell’Unione” è stato “estremamente utile e interessante” per il gabinetto del Presidente, come dimostrano i documenti. “Siamo particolarmente grati per le numerose idee concrete proposte”, si legge in una e-mail inviata da un funzionario della Commissione europea. Si tratta di casi che sono al limite dell’attività di lobbying all’interno delle istituzioni parlamentari, che è notoriamente lecita, ma la cui regolamentazione sarebbe piuttosto labile e non scevra da pericolose commistioni. E questo porterebbe, poi nei casi estremi a veri e propri fatti di indebita ingerenza se non proprio corruzione, come per esempio nel caso del Qatargate “Per quanto riguarda l’ecosistema dei gruppi di interesse, mentre gli scandali di corruzione del Marocco e del Qatargate hanno puntato i riflettori sul ruolo dei paesi terzi nel plasmare le politiche dell’Unione Europea, il vero elefante nella stanza è il lobbismo aziendale.

L’anno scorso The Economist riferiva che più di 25.000 lobbisti, con un budget annuale complessivo di oltre 3 miliardi di euro, cercano di influenzare la politica dell’Unione europea, facendo dunque impallidire le somme sequestrate dalla polizia belga nello scandalo del Qatargate. Detto questo, osserviamo come ogni ciclo politico europeo veda una maggiore presenza e dunque un maggior investimento di risorse per influenzare i processi decisionali”, dice Alberto Alemanno, professore di diritto europeo alla HEC di Parigi. Ma il vero problema, secondo il giurista, è che in un momento di estrema divisione e debolezza dell’Europa, queste potenti lobby potrebbero con relativa facilità, spostare l’orientamento del processo decisionale dell’Unione europea su questioni anche di fondamentale importanza per l’Europa.

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