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Franceschini non parla quasi mai ed era nella Margherita, come Mattarella…
Nulla accade per caso. Soprattutto in politica e in particolare quando si parla di giustizia, considerando che il capo della Magistratura – Costituzione alla mano – si chiama Sergio Mattarella. Ovvero, sempre Carta alla mano, il presidente della Repubblica. Ieri, in occasione del dibattito parlamentare a Palazzo Madama sulla riforma costituzionale voluta dal governo di Centrodestra, che include anche e non solo la separazione delle carriere, è intervento in aula al Senato per il Partito Democratico Dario Franceschini.
Un evento, un’occasione più unica che rara per chi conosce bene i meccanismi della politica e dei palazzi del potere. L’ex leader della Margherita e capo-corrente di AreaDem non interviene quasi mai in Parlamento, forse due o al massimo tre volte in una legislatura. E la lettura che danno coloro che conoscono benissimo ciò che accade in Parlamento è che se a parlare per il principale partito di opposizione è Franceschini significa che, dietro le quinte, c’è il Quirinale.
D’altronde le parole di Franceschini al Senato sono state molto istituzionale e quirinalesche, come spiegano fonti Dem. “Lanciate boomerang, dall’inizio della legislatura siete specializzati in questa tecnica: grandi proclami e risultati opposti. Potevate imboccare la linea vera che noi non condividiamo, che contrastiamo, ma nella sua brutalità non è ipocrita: quella che avete in mente come seconda tappa, il pm sotto il controllo del potere politico, il superamento dell’azione penale obbligatoria, la rivendicazione della supremazia del potere politico sopra tutti gli altri poteri dello Stato”.
E ancora Franceschini a Palazzo Madama “Avete chiuso le porte del dialogo con tutti, con le categorie interessate e con l’opposizione. Siete una maggioranza numericamente forte ma politicamente debole. Il ministro Nordio non ha ritenuto di partecipare durante la votazione degli emendamenti. Io che ho fatto il ministro mi chiedo: che cosa aveva di più importante da fare il ministro della Giustizia che stare in Aula, nel luogo della sovranità, per uno dei provvedimenti più importanti del suo mandato?”, ha aggiunto.
Ovviamente non direttamente, non ufficialmente. Si tratta di quel non detto, di quelle interpretazioni politiche raffinate che solo chi conosce a menadito le logiche dei palazzi romani sa interpretare. Ma se Franceschini, big quasi sempre silente del Pd, decide di metterci la faccia in dichiarazioni di voto su una riforma costituzionale (chiave) dell’esecutivo e della maggioranza non è affatto un caso.
Parole a parte, il fatto stesso che a parlare in Aula sia stato Franceschini vuol dire, indirettamente e politicamente, che il Colle, cioè il Capo dello Stato, non gradisce questa riforma della Costituzione che separa le carriere di pubblici ministeri e giudici e che istituisce due CSM. Il giudizio finale lo darà il popolo ovvero i cittadini con il referendum confermativo che si terrà (senza quorum) nella primavera del prossimo anno. Ma il Quirinale, Mattarella, si è già espresso. E chi sa leggere davvero la politica lo sa perfettamente.
Prima che nascesse il Pd, il Presidente a quale partito apparteneva? Alla Margherita. La stessa dell’ex ministro Franceschini. E il fatto che sia stato proprio “Dario” (come lo chiama al Nazareno) a parlare al Senato non è affatto un caso. La segretaria Dem Elly Schlein ha lasciato campo libero. Niente parola al capogruppo Francesco Boccia, ma a parlare deve essere (ed è stato) Franceschini.
A buon intenditor poche parole. Il Colle si è già schierato, indirettamente e con tutte le cautele istituzionali del caso, nella battaglia referendaria che si scatenerà nella primavera del 2026. I segnali ci sono. Lampanti. Chiri. Inequivocabili. Basta saperli leggerli.
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