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Dazi, salterà l’accordo con gli Usa. Ecco perchè

A saltare a settembre non sarà Ursula von der Leyen, ma l’accordo con gli Stati Uniti sui dazi al 15%. Troppo fragile e con troppe incognite, spiegano fonti della maggioranza che sostengono l’esecutivo. 

È del tutto evidente che la palese sottomissione della presidente della Commissione europea a Donald Trump ha lasciato scontenti tutti nel Vecchio Continente, unendo nelle critiche perfino persone lontanissime come il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro ungherese Viktor Orban. Friedrich Merz, cancelliere tedesco come Ursula del PPE, cerca di salvare il salvabile dicendo che “poteva andare peggio”, ma in Germania le imprese sono sul piede di guerra e i socialdemocratici dell’Spd minacciano la crisi di governo con il rischio elezioni e la prospettiva della destra di Afd al 40%.

In Italia Meloni ostenta cautela di fronte agli strali delle opposizioni e al nervosismo palese della Lega che attacca continuamente a testa bassa proprio quella von der Leyen che ha ceduto al presidente, ma l’obiettivo del Carroccio sono il Green Deal e le altre misure di Bruxelles. Guai a toccare Trump per Matteo Salvini e i suoi. Imbarazzo anche per Forza Italia e il vicepremier Antonio Tajani che sanno perfettamente che l’intesa scozzese è fallace, debole e penalizzante per Europa e Italia ma non possono dirlo. Ed è così che, non essendoci un sostituto a Ursula, a saltare non sarà lei ma l’accordo con gli States.

Manfred Weber, presidente del Popolari, è considerato troppo a destra, troppo vicino ai Conservatori e Riformisti e al gruppo di Lega e Marine Le Pen e non può essere un’alternativa come presidente della Commissione. Semplice: i socialdemocratici e i Verdi non lo sosterebbero mai. E così, non essendo previsto il ritorno alle urne (le elezioni anticipate in Europa non esistono come in Italia), la scommessa che fanno le fonti autorevoli sia italiane che europee, è che si andrà avanti con una von der Leyen totalmente delegittimata con il Consiglio europeo (i capi di governo e di Stato) e con il Parlamento Ue che bocceranno l’intesa con gli Usa.

Poi che cosa accadrà è un mistero. Una capitolo di un romanzo drammatico ancora tutto da scrivere. La Francia, e non solo, spinge per il bazooka contro i colossi internet americani mentre altri Paesi come l’Italia e la Germania cercano di difendere l’indifendibile, ma sanno – rigorosamente a microfono spento – che l’accordo siglato in Scozia con Trump è troppo fragile non reggerà. La previsione che è che “salterà tutto” e o ci sarà un nuovo negoziato o si aprirà una violenta guerra commerciale con l’altra sponda dell’Atlantico.

Ma “così non regge e non può reggere” come spiegano ad Affaritaliani fonti qualificate italiane ed europee. Uno scenario difficile da digerire, ricco di incognite per le imprese italiane e non solo ma figlio di una trattativa nata male, gestita peggio e finita in un disastro. E stavolta, sempre a microfono spento, anche gli esponenti della maggioranza di governo a Roma faticano a dar torto alle opposizioni che parlano di “capitolazione” dell’Europa.

E il più duro è proprio quel Carlo Calenda, leader di Azione, con il quale il Centrodestra pensava di stipolare accordi per le Regionali, le Comunali (Milano in testa) e magari anche le elezioni politiche. Ursula resterà solo perché non ci sono alternative e non ci sono le elezioni anticipate (nemmeno Mario Draghi, che non avrebbe per primo l’appoggio dell’Italia, oltre che di altri Paesi Ue), ma salterà l’intesa con Trump e la von der Leyen verrà di fatto commissariata (altro che presidente della Commissione). Con il rischio paventato da qualcuno della disgregazione dell’Unione nella ricerca di accordo one to one con la Casa Bianca. Una soluzione caldeggiata dalla Lega e alla fine neanche troppo disprezzata da Fratelli d’Italia.

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