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La premier cambia toni verso gli Usa, ma non vuole rompere e segue la linea britannica. Telefonate con le cancellerie europee e la Casa Bianca

A Palazzo Chigi sono “abbottonatissimi, anche per noi è difficile avere informazioni“. Fonti ai massimi livelli di Fratelli d’Italia, molto vicine a Giorgia Meloni, questa volta non si sbilanciano e restano sul vago sulle mosse della presidente del Consiglio dopo gli annunciati dazi al 30% contro l’Unione europea da parte del presidente Usa Donald Trump. Dalla sede del governo non filtra quasi nulla. Anzi, niente.

Dopo il comunicato generico di Sabato poco dopo la lettera della Casa Bianca, ieri, domenica 13 luglio, alle ore 19.51 è arrivata una scarna nota di Palazzo Chigi: “Anche oggi, il Governo è in stretto contatto con la Commissione europea e con tutti gli attori impegnati nella trattativa sui dazi. Una guerra commerciale interna all’Occidente ci renderebbe tutti più deboli di fronte alle sfide globali che insieme affrontiamo. L’Europa ha la forza economica e finanziaria per far valere le proprie ragioni e ottenere un accordo equo e di buon senso. L’Italia farà la sua parte. Come sempre”.

I toni – sottolineano fonti parlamentari della maggioranza – sono differenti rispetto al solito e per la prima volta la premier non sottolinea che bisogna tenere unite le due sponde dell’Atlantico bensì mette nero su bianco che “l’Europa ha la forza economica e finanziaria per far valere le proprie ragioni“, non escludendo quindi nemmeno contro-dazi che finora Meloni aveva fatto di tutto per evitare. Le opposizioni, come era ovvio, chiedono che la presidente del Consiglio si rechi in Parlamento a riferire, richiesta che resterà tale e non si concretizzerà perché Meloni – sempre ben consigliata dalla sorella Arianna – intende lavorare dietro le quinte e certo non spiegare pubblicamente davanti al Paese come si sta muovendo. Il primo problema riguarda una certa fragilità interna, con la maggioranza di Centrodestra attraversata spesso da visioni piuttosto differenti.

Una grana e un punto di debolezza per la leader di Fratelli d’Italia. Forza Italia e il ministro degli Esteri Antonio Tajani sono fermamente convinti che la trattativa con gli Stati Uniti debba restare assolutamente nell’alveo dell’Unione europea senza pericolose avventure solitarie. Diametralmente opposta la posizione della Lega che, invece, chiede alla premier di trattare direttamente con Trump condizione di favore per il nostro Paese senza passare da Bruxelles. Una strada considerata impraticabile a Palazzo Chigi.

Però i problemi ci sono eccome con le stime dei vari centri studi che parlano di danni economici fino addirittura a 70 miliardi di euro e il rischio recessione che farebbe diventare la Legge di Bilancio per il 2026 una sorta di manovra lacrime e sangue (proprio quando si vota per le elezioni regionali con il Centrosinistra che ha così un’autostrada per vincere 4 a 1) spazzando via le richieste di Forza Italia (taglio delle tasse al ceto medio) e della Lega (nuova rottamazione delle cartelle). Il ministro degli Affari europei Tommaso Foti ha spiegato che con i dazi al 30″salta il banco” e quindi guerra commerciale.

E il piatto forte dei contro-dazi di Bruxelles non sono certo né i jeans né le Harley Davidson ma colpire i colossi del web Made in Usa come Amazon, Google, Meta e non solo che all’ultimo G7 erano stati esentati dalla cosiddetta ‘minimum tax’. Il vero bazooka che farebbe scattare dazi molto più alti (anche tre o quattro volte tanto) da parte della Casa Bianca contro l’Ue mettendo così definitivamente in ginocchio soprattutto la moda e l’agroalimentare, oltre al settore farmaceutico, italiani con decine se non centinaia di migliaia di posti di lavoro a rischio. Il problema per Meloni è che il suo ruolo di pontiere tra le due sponde dell’Atlantico sta venendo meno, malgrado gli ottimi rapporti personali con il tycoon e con il suo vice JD Vance, soprattutto a causa delle profonde divisioni in seno all’Ue.

La Francia, meno esposta nell’export verso gli Usa, è per la linea dura con Emmanuel Macron pronto a schierare subito il bazooka delle contro-misure. La Germania del cancelliere Friedrich Merz, in linea con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, per ora più cauta e punta ancora sulla trattativa per evitare l’escalation della guerra commerciale. Meloni, spiegano da FdI, punta sul modello britannico cercando di ottenere come ha fatto il primo ministro Keir Starmer tariffe base al 10% con alcune eccezioni. Ma il Regno Unito non è l’Ue e la premier non può certo garantire alla Casa Bianca per Parigi e altri Paesi più piccoli pronti a rispondere con forza alla mossa del tycoon.

Ecco spiegato il silenzio assoluto da Palazzo Chigi, gli scarni comunicati e quel cambiamento di linguaggio per cercare di non apparire di fronte all’opinione pubblica e al mondo produttivo, preoccupatissimo, schierata con gli Stati Uniti malgrado la mazzata della lettera con i dazi al 30%. Ma le telefonate dalla presidenza del Consiglio, assicurano dalla maggioranza, sono continue verso Bruxelles, le principali capitali europee e anche Washington.

Questa è la partita più complessa per Meloni da quando ha vinto le elezioni ed è diventata presidente del Consiglio. Se riesce a favorire, nonostante le divisioni interne del Centrodestra e quelle esterne dell’Ue, un dialogo e un accordo con Trump sarà un successo, altrimenti – è il rischio è elevatissimo – saranno dolori. Sia economici per le aziende e le famiglie italiane, sia politici per la maggioranza di governo.

E in caso di pesante sconfitta alle Regionali (vittoria solo in Veneto) Meloni potrebbe anche far saltare il banco, dimettersi e chiedere al presidente della Repubblica Sergio Mattarella di sciogliere le Camere e tornare alle urne in tempi brevissimi (subito dopo la manovra). Una mossa che servirebbe a cogliere di sorpresa le opposizioni (divise) e a evitare che la guerra commerciale con Trump eroda ulteriormente i consensi al Centrodestra e soprattutto a Fratelli d’Italia.

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