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“Dazi al 100% su India e Cina: così rischiano di spezzare le catene produttive europee”

Donald Trump alza la posta contro Mosca. Secondo il Financial Times, il presidente Usa avrebbe chiesto all’Unione europea di imporre dazi fino al 100% su India e Cina, i due maggiori acquirenti di petrolio russo. L’obiettivo? Colpire al cuore l’economia di Vladimir Putin e costringerlo a fermare la guerra in Ucraina. Una strategia radicale, che però solleva non pochi dubbi sulla sua reale efficacia e soprattutto sui possibili contraccolpi per l’Europa.

Daniele Civini, Head of Sales di Jaggaer in Italia, parlando con Affaritaliani sottolinea i rischi per il nostro sistema produttivo: “Uno scenario di dazi al 100% contro Cina e India potrebbe rivelarsi estremamente critico per l’economia europea“. Le filiere manifatturiere, spiega Civini, sono intrecciate in maniera profonda con i mercati asiatici, “dall’automotive alla meccanica, fino all’elettronica e un’escalation commerciale metterebbe a rischio non solo l’export ma la stessa continuità produttiva di molte imprese. Sarebbe più opportuno che l’Europa lavorasse su tre direttrici: diversificazione delle fonti di approvvigionamento, rafforzamento delle catene di fornitura interne e maggiore resilienza attraverso digitalizzazione e trasparenza nei processi di procurement”.

Lo sguardo va però oltre l’immediato. Civini infatti aggiunge: “In prospettiva, sarebbe molto utile pensare ad una vera politica industriale europea costruendo un modello di crescita fondato su innovazione, sostenibilità e capacità di attrarre investimenti. In questo modo l’Europa potrà difendere il proprio ruolo economico e strategico”. Una visione condivisa anche dall’avvocato Valentino Durante, partner dello studio Casa & Associati ed esperto di diritto internazionale.

A suo giudizio, i dazi voluti da Trump si muovono su un terreno che va ben oltre il commercio. “Nel corso delle ultime settimane è emerso in modo sempre più evidente che la politica dei dazi della nuova amministrazione statunitense sottende a qualcosa di più complesso ed investe, più o meno indirettamente, una dimensione sempre più “geopolitica” che “commerciale”. L’esempio dell’India è, per certi versi, flagrante”.

Durante richiama infatti il quadro strategico dell’Asia-Pacifico: “Come è noto, l’India appartiene al sistema preventivo di difesa occidentale nel quadrante dell’Asia che prende il nome di “QUAD” e di cui fanno parte l’Australia, il Giappone, gli Stati Uniti e l’India, appunto. Questo sistema è volto -sostanzialmente- a contenere preventivamente la possibile “minaccia” cinese sul piano militare. Con il nuovo round di aggiustamenti tariffari e la conferma dei dazi all’India a livelli variabili tra il 25% e il 50%, e una nuova richiesta di innalzamento dei dazi europei verso India e Cina sino al 100% questa alleanza strategica con la più ampia democrazia al mondo rischia di subire forti tensioni“.

Lo scenario, precisa Durante, resta al momento ipotetico: “Si tratta, tuttavia, di notizie comparse sulla stampa internazionale e non ancora fondate in veri e propri atti amministrativi. Ciò nonostante il messaggio è chiaro: “La politica tariffaria serve a fare pressione”. La pressione sull’India però potrebbe portare ad un avvicinamento sempre maggiore dell’India alla Cina e questo scenario non sarebbe probabilmente dei migliori. L’Europa d’altra parte che fa ancora stabilmente parte della supply chain internazionale non potrebbe reggere all’infinito in una guerra al rialzo”.

E il rischio è duplice: non solo l’indebolimento della nostra manifattura, ma anche il fallimento delle aperture diplomatiche già avviate. “E probabilmente vedrebbe anche compromessi gli sforzi dell’attuale governo in carica per aprire nuove vie commerciali in Asia e con l’India, in particolare”, aggiunge Durante. 

“La mia percezione è che in questo momento sia quanto mai opportuno mantenere una forte lucidità e per quanto possibile continuare a tessere relazioni serie e concrete a livello europeo sia con l’India che con la Cina, facendo valere tutto il peso possibile dell’Unione per ricevere un supporto verso la pace in Ucraina, ma senza dover continuamente giocare al rialzo sui dazi per ottenere un ascolto più attento da parte dei due maggiori player asiatici. In uno spazio europeo tuttora debole, un innalzamento dei prezzi delle componenti o dei prodotti provenienti dall’India e dalla Cina rischierebbe di riportare la nostra economia in territorio negativo e sempre più in sofferenza”.

Ma se la via dei dazi appare impercorribile, quali strumenti potrebbe usare l’Europa per esercitare pressione su Mosca? Durante resta cauto: “È difficile dire quale sarebbe la misura “risolutrice”. La Federazione Russa è un Paese “continentale” e non un’economia circoscritta: renderla più debole non è facile. Anche perché basta guardare al numero importante di turisti russi che erano sparsi per l’Europa durante questa estate per capire come le risorse di questa economia abitata da una popolazione di circa 150 milioni di persone non siano marginali”.

La chiave, secondo lui, è il dialogo: “Penso che rafforzare il dialogo con la Cina e gli Stati Uniti, ponendosi di fronte alla sfide di oggi in modo più coeso, sia l’unica vera strada che l’Europa possa percorrere nel breve termine. Anche perché ridurre ulteriormente le importazioni di gas dalla Russia potrebbe causare un significativo aumento dell’energia rispetto al quale il fronte delle PMI europee potrebbe non reggere l’urto. Anche se può apparire paradossale la risposta europea dovrebbe essere più “politica”, se ne saremo capaci”.

Resta poi la questione di fondo: come costruire una strategia autonoma europea, credibile sul piano geopolitico e sostenibile sul piano economico? Per Durante la risposta è netta: “Dobbiamo cercare di uscire -molto rapidamente- dalla pura logica del “come se”. Come se fossimo davvero un’Unione anche sul piano delle relazioni esterne, come se davvero potessimo tracciare dei confini precisi tra l’economia della Germania, quella della Francia e dell’Italia, come se ancora una volta bastasse attendere domani per ritornare ad essere competitivi. Italia, Francia e Germania sono nazioni ricche di creatività, industrie e capitali accumulati nel tempo: se in luogo di ricercare micro vantaggi competitivi tra i nostri rispettivi “confini” provassimo per una volta a fare squadra, il “peso” di questi soli tre Paesi potrebbe essere “esponenziale” e non più “lineare”.

E conclude con un avvertimento che suona più come un appello: “Però, bisogna sconfiggere la trappola del “come se”. E farlo in modo sincero e lungimirante. Prima che il mondo intorno a noi decida di fare a meno della nostra voce, lasciandoci posizione a destra o a sinistra di decisioni già prese”.

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