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Chi è Alberto Nagel, l’uomo di Mediobanca che rovescia il risiko bancario con l’Ops su Banca Generali
Alberto Nagel non è mai stato uno da colpi di teatro. E proprio per questo, quando si muove, fa rumore. Con il lancio dell’Ops totalitaria su Banca Generali il timoniere di Piazzetta Cuccia spariglia tutte le carte del risiko bancario. Un all-in che Nagel si gioca quando ormai è vicino alla soglia dei sessant’anni, dopo più di trent’anni passati in Mediobanca e venti al timone.
Il manager, con l’operazione, punta a trasformarla in un gigante del wealth management, uscendo finalmente dalla lunga ombra di Enrico Cuccia. Ma non solo. Nagel ha anche un altro obiettivo: disinnescare la mina vagante che la quota in Generali rappresenta. Come? Con l’Ops il manager azzera il principale motivo di appetito per Mediobanca: toglie dal tavolo la chiave che avrebbe permesso a Caltagirone, Mps, Delfin e Orcel di puntare al controllo del Leone di Trieste e qualora l’operazione andasse in porto, Mediobanca non porterebbe più in dote la preda più ambita.
Ma per capire meglio Nagel bisogna capirne l’indole. Milanese, classe 1965, origini pugliesi, di Barletta. Amante della palestra, astemio militante (predilige l’acqua minerale), casa a Courmayeur e famiglia (moglie Roberta Furcolo e figli) stabilita a Londra. Nagel incarna uno stile di comando all’antica: basso profilo, coltello tra i denti, massima attenzione al network.
La storia del manager è intrecciata a doppio filo con Mediobanca e con quella Galassia del Nord che si è liquefatta dopo la morte di Cuccia e poi di Maranghi. Laureato alla Bocconi, entra in Mediobanca nel 1991. E non ne esce più. Sale di grado lentamente, metodicamente, è il 2003, arriva la co-gestione con Cesare Geronzi (che finirà male) e Renato Pagliaro, ma nel 2007 Nagel diventa Ceo, e da lì in avanti vola praticamente da solo.
Nagel ha progressivamente trasformato Mediobanca da una merchant bank tradizionale in una banca sempre più focalizzata sulla gestione patrimoniale (wealth management) e sui servizi finanziari ad alto margine. “Era impossibile fare il Cuccia senza essere Cuccia” si diceva. Nagel ha fatto altro: ha preso ciò che restava e l’ha trasformato in qualcosa di diverso. Più piccolo, certo, ma forse più adatto ai tempi.
Dietro a quasi tutte le grandi operazioni finanziarie degli ultimi 15 anni, a guardar bene, spunta la sua ombra: la fusione Unipol-FondiariaSai, la battaglia per Rcs (persa contro Urbano Cairo), l’Ops di Intesa su Ubi Banca dove Mediobanca fu silenzioso e potente regista. Sempre defilato, mai protagonista ufficiale.
Ma l’operazione su Banca Generali non è figlia dell’emozione, ma di anni di attesa e studi: “E’ una manovra di crescita, non per rendere una cosa più difficile ad altri, ma per rendere Mediobanca ancora più bella“, ha dichiarato Nagel e tra l’altro ci aveva già provato: anni fa Mediobanca aveva tentato l’assalto, ma si era scontrata con l’asse Caltagirone-Delfin, gli stessi che oggi tentano di spodestarlo.
Nagel, forse, non aveva scelta: restare fermi voleva dire diventare un bersaglio immobile, destinato a essere travolto da un risiko finanziario che avrebbe potuto spazzarlo via. Così ha deciso di rovesciare il tavolo. Ma la partita è tutt’altro che chiusa. Se l’Ops andrà in porto e non sarà una passeggiata Mediobanca nascerà di nuovo. Senza Generali, senza il peso della storia, e con un Nagel che, a 60 anni, potrà dire di aver salvato (di nuovo) il salvadanaio degli italiani.
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