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Nepal, ripristinati i contatti con i cinque alpinisti dispersi. Attraverso una nota la Farnesina conferma: “Stanno bene e rientreranno l’8 novembre” 

Sono stati ripristinati i contatti con i cinque alpinisti originari della provincia di Como, impegnati in un’attività di trekking sulle montagne del Nepal, con cui si erano persi i contatti nei giorni corsi. La conferma è stata resa nota dalla Farnesina che ha precisato che “il gruppo sta bene e proseguirà il programma con rientro a Kathmandu l’8 novembre”.  Nei giorni scorsi,  tre italiani sono deceduti sulle vette dell’Himalaya: il 28enne milanese Alessandro Caputo, il 45enne veneto Stefano Farronato e il 41enne abruzzese Paolo Cocco. Ridotte le speranze di trovare in vita altri due alpinisti dispersi, Marco Di Marcello e Markus Kirchler. 

Messner: “La montagna è più forte di noi. Mettere un piede in montagna non è come camminare su un prato. Il pericolo c’è sempre”

Intervenuto al Corriere della Sera, l’alpinista Reinhold Messner ha così commentato: “Una tragedia, mi fa pena sapere di tutti questi morti. Nonostante i progressi, nelle conoscenze e nell’equipaggiamento, le montagne sono rimaste pericolose. Inoltre, uno dei due incidenti ha coinvolto un gruppo molto numeroso, per questo sono morti in tanti. Non conosco esattamente cosa è successo. Due sono stati travolti mentre si trovavano in tenda, gli altri invece stavano facendo trekking sullo Yalung Ri, una camminata con una salita di un seimila, una bellissima forma per fare alpinismo in una zona meravigliosa”.

L’alpinista ha ricordato di essere passato anni fa nella stessa area “andando verso Kathmandu, anche se non ho scalato quelle vette, sottolineando la differenza tra quel contesto e gli Ottomila. È un mondo diverso dall’Everest o dal Manaslu, dove l’affollamento è tale che si procede in fila. Nel trekking questo problema non c’è: ogni montagna offre molte alternative, e in Nepal i sentieri davvero strabattuti sono solo due, il giro dell’Annapurna e l’avvicinamento al campo base dell’Everest”.

Il cuore del suo ragionamento resta però il rischio: “Mettere un piede in montagna non è come camminare su un prato. Il pericolo c’è sempre. La montagna è migliaia di volte più forte di noi e l’essere umano ha capacità limitate di sfuggire a una valanga o salvarsi all’ultimo momento. Finché si andrà in montagna, ci saranno dei morti e più persone ci salgono, più aumentano le vittime”.

Messner richiama infine l’importanza di saper rinunciare: “In quasi metà delle mie salite mi sono fermato e ho fatto dietrofront: per rischio valanghe, per il tempo, per un compagno non in forma o perché non lo ero io. Ho rinunciato, ed è per questo che sono vivo”. Un monito chiaro: “La montagna non è maligna, ma non va mai dimenticato che è pericolosa”.

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