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Oro inarrestabile, lo shutdown americano spinge il metallo prezioso verso i 4.000 dollari l’oncia

L’oro corre come non accadeva da decenni: ha sfiorato i 3.900 dollari l’oncia, segnando il settimo rialzo consecutivo e un balzo del 48% da inizio anno, la miglior performance dal 1979. A spingerlo è un mix esplosivo di fattori: lo shutdown negli Stati Uniti, le tensioni geopolitiche ancora vive (nonostante gli spiragli di pace a Gaza) e l’attesa di una Fed più morbida.

Proprio questa combinazione di incertezza e aspettative di tassi più bassi alimenta il rally: gli investitori, fiutando il rischio, si rifugiano nell’oro, che torna a essere il bene rifugio per eccellenza. “È questo mix a guidare la corsa del metallo prezioso”, spiega ad Affaritaliani Elmira Shahbazi, managing director di LEXIA Private.

Perché il prezzo dell’oro sta registrando un nuovo record?

Negli ultimi mesi il prezzo dell’oro ha toccato nuovi record storici e il motivo è una combinazione di fattori che si sono rafforzati a vicenda. A partire dalla prospettiva di una Federal Reserve (FED) pronta a tagliare i tassi: al momento è “priced in” al 75% due cuts entro fine anno 2025. Molti investitori iniziano e altri continuano a cercare nell’oro un’alternativa ai rendimenti obbligazionari in calo. Ancora di più un dollaro debole ha reso l’oro più conveniente per chi compra in euro, yen o yuan, e secondo Reuters questo indebolimento è stato una delle molle principali del rally.

Allo stesso tempo molte banche centrali, in particolare quelle di Paesi emergenti come Cina e India, hanno continuato ad accumulare riserve auree, confermando una tendenza segnalata già dal World Gold Council: quasi tutte intendono aumentare la quota di oro in portafoglio, sia per ridurre la dipendenza dal dollaro che sta perdendo sia per proteggersi da rischi geopolitici. Sullo sfondo poi dobbiamo ricordare che restano poi l’inflazione che non si è del tutto sgonfiata e l’incertezza globale, dagli scenari bellici in Ucraina e Medio Oriente fino alle tensioni politiche negli Stati Uniti.


 

In che modo un dollaro più debole incide sul prezzo dell’oro e, soprattutto, sulla domanda internazionale del metallo?

Il legame tra dollaro e oro è evidente. Poiché le quotazioni avvengono in dollari, quando la valuta americana si indebolisce il metallo prezioso diventa più accessibile agli acquirenti internazionali. Un investitore europeo, per esempio, si trova a poter comprare più oro con la stessa quantità di euro. Inoltre un dollaro fragile mette in discussione la sua funzione di bene rifugio monetario e spinge investitori e banche centrali a diversificare in oro. È per questo che la correlazione inversa tra oro e dollaro resta uno dei cardini dell’analisi di questo mercato.


 

In che misura le attese di riduzione dei tassi Usa guidano la domanda di oro?

Le attese sui tagli dei tassi della Fed giocano un ruolo cruciale. Tassi più bassi riducono il cosiddetto costo opportunità di detenere un bene che non produce interessi, e al tempo stesso indeboliscono la valuta americana, due elementi che si combinano a favore dell’oro. Anche se si può considerare il fatto che con una diminuzione degli interest rate si può sfociare in un investimento ancora più massivo in equities e quindi considerano più indici come SP500 e Russel 2000.

In realtà il mercato spesso si muove già prima dei tagli, reagendo ai discorsi di Powell e agli indizi che emergono dalle minute della Fed. È in questo anticipo che si spiega parte della recente accelerazione. Importante da ricordare il grafico della FED con expectations entro Dicembre per considerare due rate cuts da 25 bps (bps = basis points). Per capirci ora siamo a 4%-4.25%, dopo un rate cuts nell’ultimo meeting. Entro fine anno il mercato sconta un tasso che scende 3.5%-3.75%.

Che cosa rende l’oro un bene rifugio e come consiglierebbe di inserirlo in un portafoglio in tempi turbolenti?

Il motivo per cui l’oro viene definito bene rifugio risiede nella sua natura. Non può essere stampato come una moneta, non dipende dall’affidabilità di uno Stato o di un’azienda e ha una correlazione debole con le altre asset class. In periodi di tensione economica o politica, molti lo considerano l’assicurazione del portafoglio.

In termini pratici però non ha senso concentrare la ricchezza in oro: la maggior parte degli esperti parla di una quota compresa tra il 5% e il 10% per cento, estendibile fino al quindici o venti per chi vuole una protezione più marcata. Oltre questi livelli il rischio è sacrificare troppo i rendimenti delle azioni e delle obbligazioni, che nel lungo periodo hanno dimostrato una crescita superiore.

Con tassi bassi e dollaro debole, fino a dove potrebbe spingersi il prezzo dell’oro nei prossimi mesi?

Guardando ai prossimi mesi, se i tassi resteranno bassi e il dollaro continuerà a indebolirsi, lo scenario di base resta favorevole al metallo giallo. Potremmo assistere a fasi di consolidamento sopra i livelli già record, con la possibilità di puntare verso i 4000 dollari l’oncia come indicano alcune previsioni citate da Bloomberg e Goldman Sachs.

Naturalmente correzioni temporanee non sono da escludere, specie se dati macro migliori del previsto dovessero rafforzare il dollaro o spingere la Fed a un atteggiamento più prudente. Ma nel complesso il contesto rimane a sostegno dell’oro, che in questo momento continua a essere percepito come la cassaforte più sicura in un sistema economico e politico attraversato da incertezze.

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