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“Caro gelato, prezzi alle stelle? Quello artigianale è sottopagato: serve una differenza di prezzo giusta”. L’intervista all’esperto
Il gelato piace a tutti. Ma oggi piace un po’ meno al portafoglio. Negli ultimi quattro anni il prezzo del gelato in vaschetta è salito di quasi il 30%. Nell’estate 2025, un chilo costa in media 5,87 euro. Nel 2021 erano 4,54. A dirlo è il Centro di ricerca sui consumi (Crc), nell’ultimo report dell’osservatorio del ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit).
E i rincari non risparmiano nessuna città. Le ragioni? Materie prime più care e energia alle stelle. Affaritaliani ne ha parlato con Federico Maronati, Ceo di Artigeniale, società indipendente nata nel 1998 e specializzata in consulenza e formazione per il mondo della gelateria.
Negli ultimi quattro anni il prezzo del gelato è aumentato di quasi il 30%. Possiamo davvero parlare solo di inflazione o ci sono altre dinamiche di mercato dietro rincari così marcati?
Non possiamo limitarci a parlare di inflazione. Certamente ha avuto il suo peso, ma dietro l’aumento dei prezzi del gelato ci sono anche altri fattori, a partire dal clima fino ad arrivare alla speculazione. Quando è scoppiata la guerra in Ucraina abbiamo scoperto – io per primo – che l’Ucraina era il granaio d’Europa, se non del mondo. L’amido di mais, da cui derivano zuccheri come destrosio e sciroppo di glucosio usati in gelateria, è praticamente sparito dal mercato. Il destrosio, ad esempio, passò da un euro al chilo a tre euro.
Poi ci sono le dinamiche legate al cacao e alla vaniglia. Qualche anno fa la vaniglia ha raggiunto prezzi proibitivi anche per mancanza di investimenti nelle zone di produzione. Il cacao segue la stessa traiettoria. L’inflazione post-Covid ha fatto la sua parte, certo: il latte fresco, che prima si pagava attorno a un euro al litro, oggi costa anche 1,40 euro. La panna fresca è passata da 3,50 a 6 euro al litro. E i motivi sono chiari: l’aumento dei costi energetici incide su tutto. L’energia serve per trasportare, conservare e refrigerare la frutta, il latte, tutto.
A fronte di un aumento dei prezzi, come si stanno comportando i consumatori? Scelgono meno spesso il gelato artigianale?
Il gelato artigianale è forse l’unico alimento del food che viene venduto “vuoto per pieno”. Cosa intendo? In pizzeria, una margherita non costa come una quattro formaggi. Ma in gelateria sì: tutti i gusti hanno lo stesso prezzo, anche se le materie prime non sono affatto uguali. E qui nasce una prima domanda: com’è fatto quel gelato?
In Italia, per artigianale si intende semplicemente un gelato prodotto nello stesso luogo in cui viene venduto. Non esiste un disciplinare che ne stabilisca i requisiti. Questo ha i suoi vantaggi, perché lascia libertà creativa all’artigiano, ma anche i suoi limiti: sotto la stessa etichetta può finire tutto e il contrario di tutto.
Quindi capisco chi entra in una gelateria artigianale e si trova a pagare 20-25 euro al chilo per un prodotto che magari non vale quel prezzo. Ma se entri in un laboratorio dove si parte da materie prime vere, dove ci vogliono ore di lavoro e il personale è tutto regolarmente assunto, con maggiorazioni serali e festive, e paghi quel gelato 30 euro al chilo… lo stai ancora sottopagando.
Secondo Lei ci dovrebbe essere una differenza di prezzo legata al modo in cui viene prodotto il gelato? Non si rischia però di influenzare negativamente le vendite?
Il discorso è più complesso, o meglio: più sfidante. Oggi viviamo tante situazioni diverse, anche a livello di consumi. Ecco perché penso che anche il gelato debba seguire una politica di posizionamento dei prezzi, esattamente come gli altri prodotti. Chi può permetterselo sceglie in base al proprio budget.
Allo stesso modo, se il gelato avesse un prezzo che riflette davvero le materie prime, il lavoro, i costi orizzontali (come l’energia elettrica), allora il consumatore potrebbe scegliere consapevolmente. E chi lavora bene, con qualità, potrebbe sostenersi in modo più equo.
Le differenze di prezzo tra le città italiane sono evidenti: a Firenze si superano gli 8 euro al chilo, a Cuneo si paga quasi la metà. Da cosa dipendono queste disparità?
Principalmente dalla location. Ma non solo. Prendiamo Firenze. Bisogna capire se parliamo di una gelateria indipendente o di una catena con più punti vendita, che ha una struttura di costi molto più alta.
In alcune zone, come l’asse Bologna-Modena-Reggio-Parma, c’è una cultura del gelato di qualità molto radicata. A Parma, che è la capitale del food, il gelato è sempre stato più caro rispetto alla media.
Poi c’è il tema degli affitti: se hai un negozio a Milano o Roma con 6-7 mila euro al mese di canone, è chiaro che il costo del gelato salirà. Venezia è un caso a parte: lì tutto costa di più per via della logistica, trasporti su acqua, eccetera. Certo, non escludo che in alcune situazioni ci sia chi ne approfitta. Ma nella maggior parte dei casi ci sono condizioni reali e oggettive che spiegano queste differenze di prezzo.
Oggi i consumatori sono più attenti a intolleranze, diete, scelte vegane. Le gelaterie devono diventare più inclusive?
Il gelato artigianale, per come lo intendiamo noi, dovrebbe essere qualcosa di diverso. Per noi il gelato è espressione della materia prima. I gusti vegetali esistono da oltre vent’anni, non li ha inventati nessuno adesso. Il problema era che i primi gelati alla soia erano semplicemente immangiabili.
Noi abbiamo scelto di proporre gusti vegetali solo se all’altezza degli standard di un vero gelato artigianale. Questo significa avere meno scelta, perché lavorare su ingredienti vegetali vuol dire usare proteine e grassi diversi: cioccolato, nocciola, mandorla, arachidi…ma non puoi fare (o almeno noi non sappiamo fare) un tiramisù vegano che rispecchi quei valori.
E qui si apre un altro tema: le materie prime vegetali che sostituiscono panna, uova o latte – come le fibre o certi grassi – oggi hanno ancora volumi bassi e costi molto alti. La domanda è in crescita, ma non ancora sufficiente per abbassare i prezzi.
Quindi una gelateria che vuole offrire gusti “alternativi” deve investire di più. E questo incide sul prezzo finale. Ora, se in gelateria tutti i gusti vengono venduti allo stesso prezzo, è chiaro che chi prende un fiordilatte classico finisce per pagare anche parte del costo extra dei gusti vegani. Qui si apre il tema della “politica dei prezzi”, forse andrebbe superato il modello del prezzo uguale per tutti.
Quindi servirebbe un sistema di prezzi differenziati, basato sul valore reale del prodotto?
Sì, esatto. Oggi il prezzo è spesso orizzontale, ma non tutto il gelato richiede lo stesso lavoro o gli stessi ingredienti. Alcuni gusti, come pistacchio o gianduia, costano molto di più da produrre rispetto al fiordilatte. Ma se il gelatiere sa che dovrà vendere il pistacchio allo stesso prezzo del gusto base, è portato a risparmiare sulla qualità. E non lo giudico: ha pochi margini di manovra. Non può agire su affitti, bollette o stipendi. Dove può incidere è sulla materia prima.
È anche una questione matematica: in gelateria vige il principio di Pareto. Il 20% dei gusti fa l’80% del fatturato. E dentro quel 20% ci sono proprio i gusti più costosi da produrre: pistacchio, nocciola, gianduia, mandorla. Se il prezzo non riflette il reale costo, si crea una distorsione. E questo rischia di penalizzare proprio quei gelatieri che vogliono lavorare bene, con materie prime di qualità.
Guardando avanti: come si evolverà il mercato del gelato in Italia?
Il gelato non sparirà, su questo non ho dubbi. Ma la qualità, quella sì, rischia grosso. Ti faccio un esempio: ero in Langa, a vedere i noccioleti da cui ci riforniamo. La situazione è seria. La cascarola , un fenomeno che fa cadere le nocciole ancora acerbe, ha colpito duro: si parla di un 30-40% in meno di raccolto. E in Turchia, primo produttore al mondo, ad aprile c’è stata una gelata che ha bruciato un altro 20% del raccolto.
Questo vuol dire una cosa sola: prezzi alle stelle. E poi c’è il clima impazzito: inverni troppo miti, piante che non vanno in letargo, fioriture anticipate e gelate che fanno danni irreversibili. Se usi aromi e coloranti, magari riesci a tenere i costi bassi. Ma chi lavora con materie prime vere dovrà affrontare una scelta: alzare i prezzi o abbassare la qualità. E molti, purtroppo, si stanno stancando di sentirsi trattati come speculatori quando cercano solo di fare le cose per bene. Quindi la vera domanda è: per quanto ancora potremo permetterci un gelato davvero buono? E quanti saranno disposti a farlo?
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