Rinnovo Patente? Facile ed Economico
Dazi al 15%, l’Ue raggiunge l’accordo con gli Usa. Il commento
Ogni volta è la stessa storia. Cambiano i nomi, cambiano i governi, ma la musica no: l’Europa china il capo, gli Stati Uniti portano a casa il bottino. L’accordo firmato ieri in Scozia tra Donald Trump e Ursula von der Leyen è solo l’ultimo capitolo di un romanzo che conosciamo a memoria: il presidente americano minaccia dazi al 30%, la presidente della Commissione esulta perché li porta “solo” al 15. Applausi. Ma per chi?
Basta leggere tra le righe per capire il vero senso dell’intesa: l’Europa compra energia statunitense a carissimo prezzo, si impegna a investire miliardi in forniture militari made in USA, e in cambio ottiene… la promessa di non essere colpita troppo duramente. Una vittoria di Pirro, se di vittoria si può parlare. Perché non solo subiamo le regole altrui, ma le paghiamo pure, a rate e con interessi.
E intanto continuiamo a non tassare i giganti del web, che fanno profitti miliardari nel nostro continente e trasferiscono le tasse dove conviene. L’Europa ha promesso una web tax. Ne parlano dal 2017. Otto anni dopo siamo ancora fermi, impantanati tra veti incrociati, interessi nazionali e la solita paura di disturbare gli amici americani. Ma che cosa stiamo aspettando? Che Amazon ci scriva la direttiva? Che Google ci spieghi come funziona il gettito?
Non serve un’Europa muscolare. Serve un’Europa coerente, che non si presenti a un tavolo con l’idea di perdere il meno possibile, ma con l’obiettivo di negoziare da pari a pari. Serve una Commissione che difenda il mercato unico, non che lo svenda. Serve una leadership capace di scegliere il proprio futuro, senza aspettare il via libera della Casa Bianca.
È arrivato il tempo di dire basta alla subalternità. Di imporre una web tax europea, senza aspettare l’ennesimo rinvio. Di rinegoziare i contratti sul gas liquido americano che ci legano mani e piedi. Di riprendere l’ambizione industriale che un tempo faceva dell’Europa un modello, non un mercato di conquista.
Altrimenti non ci resterà che continuare a firmare accordi, pagare il conto e dire grazie. Ma non si costruisce una potenza politica con i ringraziamenti. E non si protegge l’interesse dei cittadini europei piegando la schiena. Chi guida oggi l’Europa dovrebbe ricordarlo. Prima che sia troppo tardi. Il Vecchio Continente, sempre pronto a fare il primo della classe, non riesce mai a battere i pugni sul tavolo e a cercare di farsi sentire. Perché non parla con una voce ma con 27. Perché è ostaggio di una burocrazia elefantiaca che lo paralizza. L’Europa festeggia perché non ha perso in maniera troppo netta, come le squadre che devono salvarsi che evitano l’imbarcata con la capolista. Ma ha senso?
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