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Dazi, obiettivo salvare i settori dell’agroalimentare e della moda, ma anche farmaceutica e automotive

Cauto. Anzi, “cautissimo” – per usare le parole di fonti di Fratelli d’Italia vicinissime alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni – ottimismo sulla trattativa, difficile e complessa, sui dazi tra Unione europea e Stati Uniti d’America. Donald Trump ha spostato la deadline con Bruxelles da domani, 9 luglio, al primo agosto, segno che i colloqui proseguono, ma nel frattempo, con le sue letterine come quelle di Babbo Natale (scherzano al Parlamento europeo) ha bastonato Giappone, Corea del Sud e soprattutto Sud Africa.

Ma gli scambi commerciali con il Vecchio Continente sono un’altra cosa e il tycoon sa perfettamente che con il dollaro sempre più debole nei confronti dell’euro e il rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato decennali Usa non può spingersi troppo in là per non danneggiare l’economia a stelle e strisce. D’altronde, una guerra commerciale continua e senza accordi, come ha spiegato l’odiato ma non licenziabile presidente della Fed Jerome Powell, non porterà a un imminente taglio dei tassi di interesse come invece vorrebbe e chiede a gran voce l’inquilino della Casa Bianca.

La presidente del Consiglio, sempre ben consigliata dalla sorella Arianna, sta lavorando dietro le quinte per favorire la trattativa Ue-Usa. Ha sentito la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Friedrich Merz e, spiegano fonti di Palazzo Chigi, è in costante contatto con l’Amministrazione americano soprattutto con l’ottimo canale che ha instaurato con il vice-presidente (cattolico) JD Vance.

L’obiettivo ideale resta quello di tariffe al 10% e non oltre per non danneggiare la fragile economia europea. Ma Trump vuole un trattamento speciale sulle big tech statunitensi e quindi non penalizzare chi, come Amazon, Google & company, finora ha sempre pagato pochissime tasse, praticamente quasi nulla. Sul fronte italiano alla premier Meloni interessa moltissimo che non venga colpito il settore agroalimentare (vini, formaggi e olio d’oliva in testa ma non solo) e la moda, ovvero le eccellenze del nostro Paese amatissime in America. Poi c’è anche il capitolo della farmaceutica, importantissimo per tutta Europa ma anche per la stessa Italia.

Altro comparto a rischio per i dazi è quello dell’alluminio e dell’acciaio (che serve soprattutto per l’automotive) che interessa di più la Germania e in parte la Francia ma che Meloni vuole assolutamente che non venga colpito dai dazi perché sa benissimo che l’interconnessione con l’economia tedesca, soprattutto sull’auto, è cruciale per le nostre aziende. E penalizzare la Germania, indirettamente, significa anche colpire molte nostre aziende soprattutto medie che costituiscono un parte importante dell’indotto dell’automotive teutonico.

Altri venti giorni abbondanti di trattative, dunque, ufficialmente portate avanti dal commissario Ue al commercio, lo slovacco Maroš Šefčovič, ma che interessano e coinvolgono direttamente tutti i leader europei, Meloni in testa. A Palazzo Chigi nessuno si sbilancia, così come ha non fatto il vice-presidente della Commissione Raffaele Fitto al Forum in Masseria, ma il rinvio al primo agosto è il segno tangibile e chiaro che, seppur con toni aspri e duri, il tycoon alla fine vuole un’intesa con Bruxelles.

E la presidente del Consiglio, senza clamori mediatici e lavorando dietro le quinte (dicono che sia almeno sei ore al giorno al telefono in media), è pienamente in campo per facilitare il raggiungimento della tanto sospirata intesa sui dazi. Fondamentale per il governo in vista della Legge di Bilancio perché aiuterebbe la crescita e consentirebbe all’esecutivo in manovra di inserire il taglio delle tasse per il ceto medio e forse anche qualcosa sulla nuova rottamazione, le due grandi richieste economiche di Forza Italia e della Lega.

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