Rinnovo Patente? Facile ed Economico

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Guerre (con le armi, morti, feriti e profughi) e poi guerre economiche (quelle dei dazi e delle sanzioni) sono al centro della vita internazionale.

Esiste una combinazione di fattori conflittuali, in questa età delle “poli-crisi”, che ha sorpreso moltissimi osservatori. L’interdipendenza economica non ha prodotto la pace, come riteneva una lunga tradizione di pensiero, da Kant in poi.

Ha aumentato le fonti di vulnerabilità. La domanda che dobbiamo porci è se stiamo vivendo una fase eccezionale ma breve e transitoria, oppure un profondo cambio di paradigma che deve ancora dispiegare i suoi effetti peggiori. E’ l’analisi, sempre puntuale, intelligente e verosimile, che il Prof. Giulio Tremonti propone sulla rivista Aspenia n. 2/2025.

Egli riprende quanto scritto nel suo recente libro “Guerra o pace” (Ed. Solferino, 2025), che dovrebbe essere letto da tutti, per avere una visione d’insieme della nostra attuale situazione, senza cadere in facili allarmismi, o passare per visionari di improbabili scenari apocalittici.

Di fronte al realismo dei fatti ed alla lunga esperienza economico-politica, uno dei più lucidi interpreti italiani della geopolitica contemporanea, pone riflessioni di facile comprensione, che non devono essere viziate da pregiudizi, quanto dall’osservazione della realtà e dal ragionamento induttivo.

“La novità è che è finita la “globalizzazione”, l’ultima utopia del Novecento. L’altra, prima, era stata il comunismo” – dice il Presidente della Commissione Affari Esteri alla Camera dei Deputati, già ministro dell’Economia nei governi di Silvio Berlusconi. “La cifra politica della globalizzazione era racchiusa nella triade “globalité, marché, monnaie” che trent’anni fa si è sostituita all’altra secolare triade “liberté, égalité, fraternité””

La globalizzazione sosteneva che il mercato sta sopra, mentre tutto il resto, ovvero popoli, governi, politica, sta sotto. Essa era concepita “per l’uomo che ha un futuro, ma non un passato”. Lo sradicamento, in quest’ottica, viene facilitato da un’immigrazione di massa, con alta natalità, che nel meticciato guarda solo al futuro, per forza di cose. I progressisti vorrebbero questo, come ha detto Ilaria Salis, e come tutti i leader dem non nascondono di ambire.

Sicuramente si è trattato di un cambiamento profondamente intenso, in un tempo così breve, se consideriamo i trent’anni che vanno dall’inizio alla fine della globalizzazione: dal WTO nel 1994 fino alla crisi attuale.

“La crisi non è venuta all’improvviso”, secondo Tremonti. Era in qualche modo prevedibile e prevista, eppure troppi, che ora ne parlano, prima ne negavano l’esistenza, anzi, la possibilità”. Questi stessi che, oggi, nella loro miopia, annaspano nel caos dell’incertezza, della paura di fronte a una potente reazione identitaria che, per quanto, a tratti scomposta e contraddittoria, sta rallentando il progetto globalista, mondialista, cosmopolita, elitario e iperliberista.

“Tra questi, il Prof. Giulio Tremonti sostiene che “i più sprovveduti ricordano i “Borboni”, che ricordavano tutto, ma non avevano capito niente. I più provveduti tentano, oggi, disperatamente, di convertire gli impianti, formulando ricette salvifiche”.

Possiamo fare l’esempio del G20 italiano a Roma nel 2021. La formula che lo sintetizza era “people planet prosperity”. Quando i capi di governo e di stato si recano alla Fontana di Trevi per la foto di rito si ritrovano in 18 e non in 20. Mancano il russo e il cinese. “Quattro anni dopo sarebbe venuta la guerra, trasformando i nostri “statisti” in turisti della storia” – sentenzia con la consueta ironia il Prof. Tremonti.

Ci sono due modi per rappresentare quello che sta succedendo. Uno è elegante e uno meno sofisticato. Il primo consiste nell’utilizzo delle parole che Shakespeare fa dire ad Amleto: “time is out of joint”.

L’altro è questo: “sei sul Titanic, vai al bar, ordini un whisky con ghiaccio…arriva l’iceberg. Ogni riferimento alle politiche “rock and troll” che si stanno sviluppando, contestando la globalizzazione, è puramente casuale.

“In effetti – prosegue, con sagacia, l’economista su Aspenia: è curiosa la tesi secondo cui il costo della globalizzazione sarebbe stato sostenuto dall’America, così, che, oggi tutti gli altri beneficiari ne dovrebbero pagare il conto”.

In altri due libri: “Il fantasma della povertà” del 1994 e “Mundus Furiosus” del 2016, il cui titolo è stato copiato da quello di una cronistoria scritta dal cartografo Jansonius, alla metà del Cinquecento, Tremonti sostiene che “sono già più che evidenti tre cose essenziali:

la prima è che, con la caduta del Muro di Berlino (1989), è finita la ‘guerra fredda’. In realtà è finita quella che oggi possiamo dire essere stata più una pace che una guerra;

la seconda è che, subito dopo (1994), è venuta la “pace mercantile” basata sul WTO e sul ruolo guida degli Stati Uniti d’America. Un tipo di pace che ha funzionato finora, ma che non può funzionare per sempre e dappertutto. Ed è proprio questa crisi sistemica che lo palesa, nonostante vi siano settori della politica e dell’economia che rifiutino l’evidenza;

la terza è che oggi, per effetto dell’instabilità geopolitica prodotta dai conflitti in aree del mondo che coincidono ancora con i vecchi “luoghi della storia” (Balcani, Medio Oriente, Mediterraneo, Corno d’Africa, ecc.), di nuovo si gioca la partita degli spazi esterni, quella dell’energia, del petrolio e del gas. E poi, ancora, la partita per le materie prime cosiddette “rare”. Di riflesso, è cominciata la lotta per la sovranità sui mari, la lotta per il controllo e per l’accesso alle acque “strategiche”.

Acutamente osserva il Prof. Tremonti: “è per questo che nuove tensioni si stanno sviluppando e si svilupperanno lungo linee di forza e di rottura che andranno anche oltre i vecchi luoghi della storia, anche oltre i vecchi passaggi strategici.

Dall’Africa fino all’atmosfera, dal fondo del mare fino alle calotte polari, le “nuove” esplorazioni strategiche, fatte per acquisire diritti di sfruttamento sul fondo marino o ai poli o nei deserti, le conseguenti pretese di riserva di proprietà “nazionale”, non sono già tutti questi segni sufficienti per capirlo?”

Al di là delle assonanze sul mundus furiosus, esistono delle tendenze che rendono utile la comparazione tra oggi e il Cinquecento? Il discorso ci riporta a Shakespeare e a un secolo caratterizzato da quattro fatti rivoluzionari: la scoperta dell’America, l’invenzione della stampa, il primo default finanziario, la guerra da est.

“Oggi – osserva l’economista – è più o meno lo stesso: la “scoperta” della Cina, la rete, la pecora finanziaria impazzita, la guerra da est: dall’Ucraina al Mar Rosso. Con una sola differenza, di non poco conto perché i cambiamenti così radicali non sono un’abitudine per noi esseri umani. Quelli del Cinquecento erano fatti che si sono sviluppati nell’arco di un secolo, mentre quelli di oggi sono avvenuti in appena trent’anni.

Nel suo “Il fantasma della povertà”, il professore ricorda che “il WTO è stato istituito il 1° gennaio 1995. La visione dominante era allora globalista, positiva e progressiva. Secondo la sua previsione, invece, “i capitali sarebbero andati in Asia alla ricerca di manodopera a basso costo e l’Occidente avrebbe importato ricchezza verso l’alto (da Wall Street alla Silicon Valley), ma povertà verso il basso” (posti di lavoro persi e salari livellati dalla competizione internazionale).

Per avere un’idea di questi effetti, leggere “Elegia americana” dell’attuale vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance potrebbe essere molto utile. “Quello che è successo è che il fantasma si è svegliato, ha votato repubblicano e ha espugnato la Casa Bianca: sono i fattori politici fondamentali che spiegano il Liberation Day del 2 aprile 2025 e la vicenda dazi”.

Dal Liberation Day alle minacce, alle tregue, ai compromessi al ribasso… fino alla prima sentenza, attualmente sospesa, della US Court of International Trade, che giudica sostanzialmente illegale il ricorso di Donald Trump all’ International Emergency Economic Powers Act del 1977.

Dal 3 aprile a oggi la scena si è sviluppata ad alta velocità: dalla tabella esposta alla Casa Bianca, nel Liberation Day, fino alle minacce, passando per le trattative e possibili compromessi. Sulla tabella vediamo 350 milioni di persone versus 8 miliardi di persone. Uno Stato versus 70 Stati. E fra quei 70, è giusto notarlo, l’Unione Europea è trattata come un unicum!

Ciò che è rilevante notare è che nelle schede paese presentate dalla Casa Bianca, non si parla solo di dazi ma anche e soprattutto di regole che funzionerebbero come barriere e ostacoli al commercio internazionale. Ed è questo, più ancora dei dazi, il punto più complicato nelle trattative diplomatiche in corso.

Calcolare gli effetti di queste regole, capire se e come ridurne l’impatto sono incognite. “In ogni caso – prosegue Tremonti nel ragionamento – ciò che è evidente è che gli effetti dei dazi e delle regole non sono solo “fiscali”, ma sono anche esterni: l’impatto sui tassi di cambio, sui tassi di interesse, sulle strutture dei bilanci pubblici. In generale, sulla struttura della finanza su cui tutto questo insiste.

Ai primi annunci di dazi, ha fatto seguito il crollo della finanza, dalle borse al mercato dei titoli pubblici. Ora questi, nonostante le minacce, si sono quasi stabilizzati e questo ci riporta al principio di quello che ci siamo detti, “ossia che è in corso una politica di imprevedibile prevedibilità”.

Infatti – prosegue Tremonti – “la follia dei dazi viene, oggi, bilanciata dalla follia della finanza. I dazi di per sé destabilizzerebbero. Ma sono stabilizzati da una finanza che è in grado di farlo perché è a sua volta instabile. Non a caso, questa età della poli-crisi viene definita l’età dell’incertezza”.

Ha prevalso l’idea del Financial Stability Board, con effetti strani, ossia una stabilità molto limitata.” Forse è tornato il momento di completare il progetto di Bretton Woods, aggiungendo alla parte monetaria la parte commerciale e di mercato”. Su questo progetto, il Prof. Tremonti ed i suoi collaboratori stanno lavorando sia con i cinesi che con gli americani.

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