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Sotto attacco di panico. La mia storia, il mio burnout, la mia ripartenza? “Ha l’obiettivo di diventare un libro di passaparola”, racconta Gabriele Parpiglia ad Affaritaliani.it. “Nasce cinque anni fa, quando eravamo sotto il Covid e avevo la paura di quello che non sapevamo e che avremmo affrontato. C’erano due possibilità: o mi lasciavo prendere dal panico o lavoravo”.

“Ho iniziato a scriverlo durante quel periodo, eravamo nel 2020. Poi col passare del tempo ci sono stati svariati switch off nella vita, e quindi non riuscivo mai a chiuderlo – prosegue il giornalista, autore, produttore di serie TV e scrittore – ogni volta c’era un fatto abbinato a un evento che ti sconvolgeva. E tu magari – che ne so – aumentavi i farmaci, entravi in burnout.”

Già il bournout…

“Una parola che non conoscevo, ma di cui il 46% degli italiani – dati inerenti all’altro ieri – ne soffrono, però se chiedi in giro cos’è il burnout, oggi non credo che tutti sappiano spiegarlo. Da questo poi derivano altre patologie, la depressione, l’ansia, l’insonnia, un’eccessiva rabbia, un’eccessiva sensibilità. E quindi non trovavo mai la chiusa giusta. Diciamo che, dopo tre anni e mezzo di cura e dopo aver rischiato un avvelenamento da farmaci – dove potevo restarci secco – lì ho capito che era proprio il momento di chiudere non una porta, ma un capitolo gigante e pericoloso perché l’assunzione dei farmaci, soprattutto quando sei ipocondriaco e ti senti di essere il dottore di te stesso, è gravissima. E’ una cosa che non va fatta”

Capitolo chiuso e ora ecco un libro (Ugo Mursia Editore) in cui Gabriele Parpiglia si racconta a cuore aperto. 

Cosa ha fatto scattare questi fantasmi che ti hanno portato a vivere quel lungo momento che racconti nel libro?

“Innanzitutto il panico non lo scegli. Ti sceglie. La cosa principale è ammetterlo. Questo è il punto e la voglia di far sì che questo diventi un libro di passaparola, che riesca ad arrivare laddove ci possa essere un aiuto concreto. Quando io ho iniziato a parlarne mi scrivevano 15-20 persone, adesso che sono in promozione, con queste parole, ricevo almeno mille messaggi al giorno di persone che preferiscono confidarsi con me e dire ‘A me succede… Sento la vena in mezzo alla fronte che mi scoppia… Ho la palpitazione a mille… Mi manca l’aria… Non respiro… Non riesco a vedere le persone’. Hai un attacco di panico. Però lo confidi a me – che sono un estraneo – e non alle persone che hai accanto. Perché?”

Già… perché?

“Nei racconti che leggo, la maggior parte delle persone non si sentono capite. Ma la stessa cosa, se tu chiami in ospedale, la sera o la notte, perché hai un attacco di panico: io ho testimonianze di persone alle quali è stato detto ‘Bevi un bicchiere d’acqua… Fai un giro del palazzo… Mettiti a letto’. E non è giusto, perché non sono patologie di serie A o di serie B. Ogni patologia ha il rispetto giusto”

Però….

“Chiaramente devi pagare i professionisti e garantirli per tutti. Perché queste sono patologie che necessitano di cure che costano e non tutti se le possono permettere. Il mio obiettivo è arrivare a creare un’apertura enorme. Da un lato sul fronte dei professionisti – che non vengono pagati adeguatamente – e quindi fanno pagare il quintuplo per qualcosa che dovrebbe essere forse gratuita…”

Oppure…

“Io sono credente, ma levi l’ora di religione da scuola e metti l’educazione alla salute mentale, perché comunque nell’ultimo anno noi abbiamo letto di omicidi, femminicidi – chiamateli come volete – commessi dai minori. Se durante le lezioni di educazione della salute mentale a scuola, qualcuno avesse alzato una mano per dire ‘Io ho questo problema’, non dico che ‘salveresti’ la situazione, ma se salvi anche solo una vita hai già vinto”

Quindi l’obiettivo di Gabriele Parpiglia…

“E’ arrivare laddove tutto poi può cambiare, ossia alla politica. In questo momento due telefonate le ho ricevute e gli incontri li farò a brevissimo. Ora voglio capire se saranno costruttivi e si può andare avanti, perché questo è l’obiettivo del mio libro”

Nella tua esperienza quand’è che hai visto la ‘luce’ in fondo al tunnel?

“Diciamo che nel titolo del libro c’è ‘La mia ripartenza’ e l’ho vista quando rischiavo di andare al creatore: per una confusione in farmaci ho rischiato l’avvelenamento e mi sono svegliato il giorno dopo in ospedale. Il medico della clinica Ruesch di Napoli – un’eccellenza – mi ha detto ‘Ti è andata bene, perché potevi distruggerti, un organo, l’esofago’. Ho ingerito un acido per le verruche, ma per un errore, colpa mia. Ero convinto di salvare il mondo, ho preso il farmaco mentre parlavo con gli auricolari e messaggiavo: non mi ero reso conto che, per sbaglio, la boccetta era diversa. Dopo l’ospedale sono tornato in hotel ho preso il bustone dei farmaci e l’ho buttato”

Poi…

“Mi ricordo che, quando mi sono reso conto di aver ingerito qualcosa di tossico – perché mi si erano gonfiate le tonsille, ero pieno di puntini rossi e bianchi, non riuscivo a parlare – ho subito sputato. Quando ero in albergo, c’era il tavolo di legno dove ho fatto quel gesto (sputato il medicinale ingerito accidentalmente, ndr), c’era un solco e mi sono reso conto che era l’acido. Ho detto ‘Stop, qui, ti fermi e riparti’...”

La persona che ti è stata più vicina?

“Credo che, se tu sei dentro una patologia simile, la persona più vicina che puoi avere accanto è te stesso. È una cosa subdola, sono delle piccole-giganti macchie bastarde, che ti consumano e quindi non tutti le capiscono. Soprattutto poi – quando tu capisci che non tutti viaggiano sulla linea del capire quello che hai – diventi tu nemico non solo di te stesso, ma anche per gli altri. E dunque dico la mia dottoressa in primis. E me stesso”

Il prossimo libro che vuoi scrivere?

“E’ un’inchiesta che sto seguendo da tempo, e ne parlerete secondo me, la devo consegnare a breve, perché i libri vanno mandati almeno due mesi prima. Non posso dire nulla, vi chiedo scusa, ma so che capirete. E’ un’inchiesta, farà rumore… ci vediamo presto a settembre-ottobre”

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