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Guerre stellari tra Cina e Stati: la partita globale fuori dai confini del Pianeta 

Controllare gli astri per controllare la Terra. Sembra fantascienza degli anni Sessanta, invece è il concetto alla base della corsa allo spazio del terzo millennio. La partita su scala globale tra Cina e Stati Uniti si gioca infatti anche fuori dai confini del pianeta, con progetti analoghi in cui si mischiano scienza, prestigio e geopolitica. Se tornare sulla Luna o mettere i piedi su Marte sono imprese che vanno a beneficio di tutta l’umanità, sviluppare una rete satellitare può dare un vantaggio strategico nel confronto tra potenze.

Secondo il report annuale sull’industria aerospaziale redatto da Novaspace, la spesa di Washington rimane la più alta al mondo, 79,6 miliardi di dollari, ma dal 2009 a oggi la sua fetta di mercato è crollata dal 74 al 59%, segno del crescente impegno di altri attori. Tra gli “inseguitori”, la Cina è il più importante: l’anno scorso ha investito 19,8 miliardi di dollari, 13 in più del terzo attore globale, l’Agenzia spaziale europea (Esa).

Nell’agosto del 2024 la Cina ha completato i primi lanci del progetto Qianfan, una megacostellazione di satelliti da posizionare nella orbita terrestre bassa (Leo, entro i duemila kilometri dalla Terra). Il programma, sviluppato dall’azienda statale Shanghai Spacecom Satellite Technology, prevede di lanciare complessivamente 14mila satelliti. Non è l’unico progetto cinese di questo tipo: già nel 2020, China Satellite Network Group ha attivato Guowang, un analogo piano di lancio di 13mila satelliti che però non ha ancora effettivamente preso piede. In totale, la Cina prevede di lanciare nella Leo circa 40mila veicoli di questo tipo entro il 2040, mentre entro il 2050 vuole creare una stazione lunare permanente.

I satelliti sono tecnologie dual-use, cioè sono pensati per scopi civili ma all’occorrenza possono essere riconvertiti a scopi militari, come lo spionaggio. Dunque, avere una propria vasta rete è importante, perché oltre a garantire autonomia di accesso a internet e alle telecomunicazioni permette di vendere il servizio a paesi terzi, aumentando il proprio peso geopolitico. Non a caso, preoccupazione rispetto ai progetti dei rivali ci sono da una parte e dall’altra. “Riteniamo che gran parte del loro cosiddetto programma spaziale civile sia un programma militare”, aveva detto ad aprile l’allora direttore della Nasa Billy Nelson.

Da parte cinese, uno studio pubblicato sul Journal of international secutiry studies da studiosi dell’East China Normal University sottolinea come Starlink, l’agenzia spaziale privata di Elon Musk, con i suoi oltre seimila satelliti già in orbita e con quelli che deve ancora lanciare rischia di saturare lo spazio, impedendo così l’accesso ad altri paesi. Dei ricercatori del National University of Defense Technology hanno invece approfondito sul Journal of intelligence i legami tra la stessa Starlink e l’infrastruttura militare degli Usa. È noto, infatti, che la rete di Musk sia stata usata per esempio durante la guerra in Ucraina. Proprio per questo, gli autori hanno invitato il governo cinese a monitorare la situazione e sviluppare proprie alternative.

Il ruolo di Musk, in questa partita, è importante. L’uomo più ricco del mondo ha già rivoluzionato la ricerca spaziale grazie ai suoi razzi Falcon-9, che essendo riutilizzabili hanno permesso di abbattere il costo di lancio da oltre 60mila a circa 1.500 dollari al kilogrammo trasportato. Un traguardo che promette di ridurre ancora col pieno sviluppo di Starship, che dovrebbe consentire di tagliare la spesa ad appena qualche centinaio di dollari/kilo. In questo modo, i rifornimenti ai veicoli già in orbita diverrebbero più frequenti e quindi l’esplorazione in direzione Marte potrebbe procedere più velocemente. Portare l’uomo sul pianeta rosso è infatti il principale obiettivo di Musk, condiviso dalla Nasa e dalla Cina.

In questo caso la competizione è più che altro scientifica e di prestigio, ma al momento rimane un obiettivo ancora molto lontano. Washington vuole prima riportare l’uomo sulla Luna entro il 2027, Pechino vuole farlo per la prima volta entro il 2030. Inoltre, il rientro sulla Terra di campioni prelevati da Marte da una missione congiunta di Nasa ed Esa è previsto solo per il 2040, data che però potrebbe essere anticipata le conquiste tecnologiche di Musk. In questo senso, i rapporti tra governo Usa e Starlink potrebbero essere facilitati nei prossimi anni dal nuovo direttore della Nasa scelto da Donald Trump, il miliardario Jared Isaacman, amico e cliente di Musk.

Il patron di Starlink, in ogni caso, non è l’unico miliardario che investe nello spazio con lanci dagli Usa. Lo sta facendo, per esempio, Jeff Bezos, la cui Blue Origin si è aggiudicato un appalto dalla Nasa per realizzare lander lunari e che vorrebbe contribuire alla creazione di una stazione spaziale in orbita. E c’è poi il britannico Richard Branson, che con Virgin Galactic (con sede in California e base di lancio in Nuovo Messico) punta sul turismo tra le stelle. Insomma, lo spazio sembra sempre più vicino.

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