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Friedman contro Netanyahu: “Sta minando gli interessi americani in Medio Oriente”
Thomas L. Friedman è editorialista della rubrica Opinion di politica estera del New York Times, uno dei più autorevoli quotidiani del mondo. È entrato a far parte del giornale nel 1981 e ha vinto tre Premi Pulitzer. È autore di sette libri, tra cui “Da Beirut a Gerusalemme”, che ha vinto il National Book Award.
Il 9 Maggio 2025 l’importante media statunitense ha pubblicato una sua lettera aperta, in cui si rivolge in tono confidenziale, ma molto fermo e deciso, direttamente al Presidente Donald Trump. La lettera è un’opinione, il cui contenuto merita di essere conosciuto, anche in Italia, perché proviene da una penna molto importante del panorama giornalistico internazionale e fornisce molti spunti di riflessione.
Scomodando il grande Alessandro Manzoni, ci permettiamo di usarne una celebre frase dei Promessi Sposi e di adeguarla a questo scritto: “Questioni importanti; ma che il lettore risolverà da sé, se ne ha voglia. Noi non intendiamo di dar giudizi: ci basta d’aver dei fatti da raccontare”. Friedman non è un estimatore o un sostenitore di Trump. Ammette subito che ci sono pochissime iniziative che il tycoon abbia intrapreso da quando è entrato in carica con cui concordi, tranne che in Medio Oriente.
Il fatto che la prossima settimana si recherà lì per incontrare i leader di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti in Qatar, e che non abbia intenzione di vedere il Primo Ministro Benjamin Netanyahu in Israele, “mi suggerisce che stia iniziando a comprendere una verità fondamentale: che questo governo israeliano si sta comportando in modi che minacciano i fondamentali interessi statunitensi nella regione. Netanyahu non è nostro amico” – incalza Friedman, senza tanti giri di parole. E poi continua: “pensava di renderti suo servo. Ecco perché sono impressionato da come gli hai fatto capire, attraverso i tuoi negoziati indipendenti con Hamas, l’Iran e gli Houthi, che non ha alcun potere su di te, che non sarai il suo capro espiatorio. È chiaro che lo stai mettendo nel panico”.
Non ho dubbi che, in generale, il popolo israeliano continui a considerarsi un fedele alleato del popolo americano – e viceversa. Ma questo governo israeliano ultranazionalista e messianico non è alleato dell’America. Perché la sua priorità è l’annessione della Cisgiordania, l’espulsione dei palestinesi da Gaza e il ripristino degli insediamenti israeliani. Perseguendo la sua agenda estremista – secondo il Pulitzer – questo governo Netanyahu starebbe compromettendo gli interessi statunitensi. “Il fatto che non vi stiate lasciando sopraffare da Netanyahu come ha fatto con altri presidenti degli Stati Uniti è un vostro merito” – sottolinea la lettera aperta.
La struttura dell’attuale alleanza tra Stati Uniti, Paesi arabi e Israele fu stabilita da Richard Nixon e Henry Kissinger dopo la Guerra d’Ottobre del 1973, per estromettere la Russia e fare dell’America la potenza globale dominante nella regione, un obiettivo che da allora ha sempre servito i nostri interessi geopolitici ed economici. La diplomazia Nixon-Kissinger forgiò gli accordi di disimpegno del 1974 tra Israele, Siria ed Egitto. Questi gettarono le basi per il trattato di pace di Camp David.
Camp David gettò le basi per gli Accordi di Pace di Oslo. Il risultato fu una regione dominata dall’America, dai suoi alleati arabi e da Israele. Ma l’intera struttura dipendeva in larga misura dall’impegno di Stati Uniti e Israele verso una soluzione a due stati di qualche tipo, a condizione che i palestinesi accettassero di riconoscere Israele e che il loro stato venisse smilitarizzato.
“Tuttavia – afferma risoluto Thomas Friedman sul NYT – quando è salito al potere alla fine del 2022 (ben prima della brutale invasione di Hamas del 7 ottobre 2023), il governo Netanyahu ha fatto dell’annessione della Cisgiordania la sua priorità, anziché dell’architettura di sicurezza e pace degli Stati Uniti per la regione”. Per quasi un anno, l’amministrazione Biden ha implorato Netanyahu di fare una cosa per l’America e per Israele: accettare di aprire un dialogo con l’Autorità Nazionale Palestinese sulla soluzione a due stati, in cambio della normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele. Ciò avrebbe poi aperto la strada all’approvazione da parte del Congresso di un trattato di sicurezza tra Stati Uniti e Arabia Saudita per controbilanciare l’Iran e stoppare la Cina.
Netanyahu si rifiutò perché i suprematisti ebrei nel suo gabinetto dissero che, se lo avesse fatto, avrebbero rovesciato il suo governo. E con Netanyahu sotto processo per molteplici accuse di corruzione, non poteva permettersi di rinunciare alla protezione di primo ministro per prolungare il suo processo e prevenire una possibile condanna al carcere. “Quindi – è l’accusa forte del pluripremiato opinionista americano – Netanyahu ha anteposto i suoi interessi personali a quelli di Israele e degli Stati Uniti.
La normalizzazione delle relazioni tra Israele e l’Arabia Saudita, la più importante potenza musulmana, fondata sullo sforzo di forgiare una soluzione a due stati con i palestinesi moderati, avrebbe aperto l’intero mondo musulmano a turisti, investitori e innovatori israeliani, allentato le tensioni tra ebrei e musulmani in tutto il mondo e consolidato i vantaggi degli Stati Uniti in Medio Oriente, avviati da Nixon e Kissinger per un altro decennio o più”.
La Reuters ha riferito giovedì che “gli Stati Uniti non chiedono più all’Arabia Saudita di normalizzare i rapporti con Israele come condizione per il progresso nei colloqui di cooperazione sul nucleare civile”. Netanyahu si sta preparando a invadere nuovamente Gaza con un piano per concentrare la popolazione palestinese in un angolo minuscolo, con il Mar Mediterraneo da un lato e il confine egiziano dall’altro, mentre al contempo avanza, di fatto, l’annessione in Cisgiordania, a velocità e ampiezza sempre maggiori. Così facendo, si scontrerà con ulteriori accuse di crimini di guerra contro Israele (e in particolare contro il suo nuovo capo di stato maggiore dell’esercito, Eyal Zamir), accuse da cui Bibi si aspetterà che la vostra amministrazione lo protegga.
Evidentemente, l’autore dell’editoriale non prova alcuna simpatia per Hamas. Pensa, infatti, che sia “un’organizzazione malata”, che ha arrecato danni enormi alla causa palestinese. Ritiene che sia enormemente responsabile della tragedia umanitaria nella Striscia di Gaza. Secondo lui, il piano di Netanyahu di reinvadere Gaza non è quello di creare un’alternativa moderata ad Hamas, guidata dall’Autorità Nazionale Palestinese, ma un’occupazione militare israeliana permanente, il cui obiettivo non dichiarato sarà quello di spingere tutti i palestinesi ad andarsene. “Questa è la ricetta per un’insurrezione permanente: il Vietnam sul Mediterraneo!” – denuncia con forza Firedman.
Intervenendo a una conferenza il 5 maggio, sponsorizzata dal quotidiano religioso sionista B’Sheva, Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze israeliano di estrema destra, ha parlato come un uomo a cui non importa nulla di ciò che pensi Trump: “Occupiamo Gaza per restarci”, ha detto. “Non ci saranno più entrate e uscite”. La popolazione locale sarà stipata in meno di un quarto della Striscia di Gaza.
Come ha osservato l’esperto militare del quotidiano di Tel Aviv, Haaretz, Amos Harel : “Dato che l’esercito cercherà di ridurre al minimo le vittime, gli analisti prevedono che ricorrerà a una forza particolarmente aggressiva, che causerà ingenti danni alle restanti infrastrutture civili di Gaza. Lo spostamento della popolazione nelle aree dei campi umanitari, unito alla continua carenza di cibo e medicine, potrebbe portare a ulteriori morti di massa tra i civili. … Altri leader e ufficiali israeliani potrebbero affrontare procedimenti legali personali”.
In effetti, questa strategia, se attuata, potrebbe non solo innescare ulteriori accuse di crimini di guerra contro Israele, ma minaccerebbe inevitabilmente anche la stabilità della Giordania e dell’Egitto. Questi due pilastri della struttura di alleanza americana in Medio Oriente temono entrambi che Netanyahu miri a cacciare i palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania verso i loro Paesi, il che aumenterebbe sicuramente la situazione di instabilità, che si riverserebbe oltre i loro confini, anche se i palestinesi stessi non lo facessero.
Hans Wechsel, ex consigliere politico senior del Comando Centrale degli Stati Uniti ha riferito al dott. Friedman: “Quanto più le aspirazioni palestinesi sembrano disperate, tanto minore sarà la disponibilità nella regione ad ampliare l’integrazione di sicurezza tra Stati Uniti, Arabia Saudita e Israele, che avrebbe potuto garantire vantaggi a lungo termine su Iran e Cina, senza richiedere quasi altrettante risorse militari statunitensi nella regione per sostenerle”
Nell’editoriale di Haaretz del 7 maggio si legge: “Martedì, l’aeronautica militare israeliana ha ucciso nove bambini di età compresa tra 3 e 14 anni. … L’esercito israeliano ha affermato che l’obiettivo era un ‘centro di comando e controllo di Hamas’ e che ‘sono state prese misure per mitigare il rischio di danneggiare civili non coinvolti’. … Possiamo continuare a ignorare il numero di palestinesi uccisi nella Striscia – oltre 52.000 , inclusi circa 18.000 bambini; a mettere in discussione la credibilità delle cifre, a usare tutti i meccanismi di repressione, negazione, apatia, distanziamento, normalizzazione e giustificazione.
Niente di tutto ciò cambierà l’amara constatazione: Israele li ha uccisi. Le nostre mani hanno fatto questo. Non dobbiamo distogliere lo sguardo. Dobbiamo svegliarci e gridare a gran voce: fermate la guerra”. Ora, probabilmente, il Presidente Trump può contare anche sul sostegno diplomatico del Vaticano, per giungere ad un cessate il fuoco definitivo.
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