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Trump rappresenta un tipo di giocatore nuovo rispetto al lungo assetto post-bellico
Da quando Donald Trump è stato eletto per la seconda volta presidente degli Stati Uniti d’America, il mondo è entrato in una fase di grande instabilità negli assetti internazionali. L’ordine mondiale che era uscito dalla Seconda Guerra Mondiale, e che durava da un’ottantina di anni, è stato improvvisamente messo in discussione, e portato in uno stato di crisi forse irreversibile, dalle decisioni repentine e mutevoli dell’inquilino della Casa Bianca. Da cui due domande fondamentali: il mondo sta veramente cambiando a causa di Trump? e come tratteggiare la personalità di questo indiscusso protagonista della scena mondiale?
Per quanto riguarda la prima domanda, il mondo non sta cambiando a causa di Trump. Sta cambiando per processi strutturali nell’economia, nella tecnologia, nella società, nella cultura, persino nell’antropologia, che si sono formati, e rafforzati, ben prima che arrivasse “The Donald”. Il quale, questo sì, li sta cavalcando e accelerando con grande disinvoltura. E li sta rendendo visibili nella loro effettiva crudezza e intensità. C’è un motto Zen che mi piace ricordare a questo proposito, perché rende bene l’idea: quando l’allievo è pronto, il maestro appare. Non sono i leader che creano le forze del cambiamento, sono le forze del cambiamento che, talvolta davvero inaspettatamente, trovano dei perfetti “interpreti” che le colgono e le mettono in scena. Personalmente, credo che questo sia il caso di Trump.
Veniamo così alla seconda domanda: che cosa caratterizza la personalità di Donald Trump? Premesso che è molto scivoloso provare a rispondere a un quesito così psicologico basandosi solo sull’osservazione del comportamento decisionale e comunicativo del presidente americano, possiamo comunque fare qualche ragionevole considerazione. Trump è, fondamentalmente, un “giocatore d’azzardo” con una marcata componente di “sensation seeking”. Che cosa significa questo? Vuol dire che la sua psicologia è orientata a ottenere per sé il massimo risultato possibile nell’orizzonte temporale più ristretto possibile, con l’impiego minimo possibile di risorse, accettando elevati livelli di rischio e cercando di sfruttare ogni singola opportunità del momento. Il tutto con una certa attrazione per le situazioni fortemente adrenaliniche (sensation seeking), con una spiccata propensione a uscire dagli schemi prestabiliti (pensiero non convenzionale) e con un evidente gusto per lo stare individualmente al centro della scena (che possiamo indicare con il semplice ed efficace termine di ego-centrismo).
Tutto questo in sé non è né bene né male, se collochiamo la figura di Trump nel quadro concettuale della teoria dei giochi (che si può, e per molti aspetti si deve, applicare all’analisi dello scenario internazionale). Trump è un giocatore che ha uno stile preciso, che è quello che abbiamo appena tratteggiato. Il risultato di questo suo stile, rispetto agli interessi del mondo (dal momento che quella americana è una potenza globale, che impatta appunto sul mondo intero), dipende dalle caratteristiche degli altri giocatori, dalle loro personalità e strategie comportamentali. In altre parole, il risultato sarà buono o cattivo a seconda di come gli altri giocatori si relazioneranno a Donald Trump.
Volendo semplificare all’estremo, la strategia di Trump è quella del “falco”. Che, non a caso, gioca di sponda con altri due “falchi”: il presidente russo Vladimir Putin e quello israeliano Benjamin Netanyahu. Se in una popolazione di “colombe” cominciano a esserci tre “falchi”, la partita tende a farsi difficile per le colombe e vantaggiosa per i falchi. Che è proprio quello che sta accadendo. Ma se alcune delle “colombe”, anche senza diventare “falchi”, assumono un atteggiamento di controproposta rispetto ai “falchi” e cercano una strada diversa, una strategia diversa, che potrebbe per esempio essere quella dell’“albatros”, allora lo sbilanciamento si ridimensiona e anzi l’intero ecosistema può evolvere verso un nuovo e migliore equilibrio. Chi potrebbe farsi “albatros”, per rimanere nella metafora? Indubbiamente, l’Unione Europea, che resta la grande assente, il “gigante addormentato” dell’attuale fase di transizione mondiale.
Il punto da tenere presente è questo: chi ha la psicologia del “gambler” conferma oppure modifica la sua strategia a seconda delle risposte che gli altri giocatori, e il banco, gli danno. Non è quindi un caso che Trump abbia già mostrato più volte di saper modificare la sua linea di attacco. E lo farà ogni volta che riceverà delle risposte chiare e forti da parte dei suoi interlocutori. I quali, però, devono appunto avere qualcosa di chiaro e di forte da dire e da fare.
E’ ancora presto per dire cosa succederà nella grande partita mondiale per il potere globale. La cosa sicura è che Trump rappresenta un tipo di giocatore nuovo rispetto al lungo assetto post-bellico. Un giocatore che ha rapidamente ridefinito le regole della partita in questione. Gli altri giocatori devono comprenderlo, e darsi a loro volta un nuovo stile di gioco.
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