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Debito pubblico: gli investitori stranieri tornano sopra il 30% della quota detenuta
Dopo tre anni di graduale disimpegno, gli investitori stranieri sono tornati a scommettere sul debito pubblico italiano, tornando a detenere oltre il 30% dei titoli di Stato in circolazione con una progressione che potrebbe portarli presto verso i 1.000 miliardi di euro. Allo stesso tempo, le famiglie italiane rafforzano la loro presenza nel mercato domestico, raggiungendo una quota record vicina al 15%.
È quanto emerge da un’elaborazione del Centro studi di Unimpresa, su dati aggiornati al 2024, che documenta un cambiamento profondo nella composizione dei sottoscrittori del debito sovrano nazionale. Alla fine dello scorso anno gli investitori esteri possedevano 923,8 miliardi di euro tra Btp, Bot e altri titoli pubblici, pari al 31,1% del totale, in netta crescita rispetto al 27,7% del 2023, al 26,8% del 2022 e al 29,2% del 2021. Si tratta della percentuale più alta dal 2020, quando si attestava al 30%, e rappresenta un’inversione di tendenza dopo anni di progressiva riduzione dell’esposizione da parte della finanza internazionale.
In termini assoluti, l’aumento è particolarmente significativo: quasi 130 miliardi di euro in più in un solo anno. Si segnala il rafforzamento della presenza delle famiglie italiane tra i sottoscrittori del debito: nel 2020, la quota in mano ai risparmiatori privati era pari al 9,0%, con un ammontare di 232 miliardi. Dopo un lento ma costante aumento, nel 2023 la soglia aveva superato il 13% e nel 2024 ha toccato il 14,2%, corrispondente a 421 miliardi di euro. In soli quattro anni, il portafoglio di titoli pubblici delle famiglie è cresciuto di quasi 190 miliardi, con una quota raddoppiata.(Segue) ECO NG01 ccl/ntl 121420 APR 25
“L’aumento della componente estera dimostra che i titoli di Stato italiani sono tornati attrattivi anche grazie a rendimenti elevati in un contesto di inflazione in rallentamento e a una maggiore fiducia sulla sostenibilità del debito pubblico. L’Italia offre oggi un mix interessante di stabilità politica, garanzie istituzionali e rendimento reale positivo. È il risultato diretto delle scelte del Tesoro che ha puntato in modo sistematico su nuove tipologie di emissioni rivolte al pubblico retail, come i Btp Futura e i Btp Valore, offrendo cedole crescenti, premi fedeltà e condizioni fiscali vantaggiose.
La risposta dei risparmiatori italiani è stata netta: nel quadro di incertezza dei mercati e tassi bancari ancora non competitivi, il debito pubblico è tornato a essere percepito come una forma sicura e remunerativa di investimento domestico”, commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara. Nel complesso, il debito pubblico italiano ha raggiunto 2.966,6 miliardi di euro nel 2024, in crescita rispetto ai 2.869,6 miliardi del 2023. Il peso della Banca d’Italia, dopo il picco del 26,1% nel 2022, è tornato al 21,6%, stesso livello del 2020. Le banche hanno ridotto la loro esposizione dal 25,4% al 20,3%, mentre le Sgr, fondi pensione e assicurazioni sono scese dal 14,1% al 12,7%.
Nel giro di quattro anni si è passati da una struttura dominata dalle istituzioni domestiche pubbliche e bancarie a una composizione più articolata, dove il risparmio privato e i capitali esteri giocano un ruolo sempre più centrale. Una trasformazione che, se ben gestita, può rafforzare la stabilità e la resilienza del mercato dei titoli pubblici italiani. Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha rielaborato le statistiche della Banca d’Italia, nel 2024 il debito pubblico italiano ha toccato quota 2.966,6 miliardi di euro, in crescita rispetto ai 2.869,6 miliardi del 2023 e ai 2.578,2 miliardi del 2020.
Un aumento che si accompagna a una trasformazione profonda nella composizione dei sottoscrittori, con dinamiche che riflettono le tendenze macroeconomiche e le strategie di investimento dei principali attori. Banca d’Italia, che nel 2020 deteneva 556,2 miliardi pari al 21,6% del totale, aveva aumentato la propria quota fino a 695,5 miliardi (24,2%) nel 2023, in piena fase espansiva della politica monetaria. (Segue) ECO NG01 ccl/ntl 121420 APR 25
Tuttavia, nel 2024 il suo stock è sceso a 642,1 miliardi, riportandosi al 21,6%, lo stesso livello percentuale del 2020. Si tratta di un evidente effetto del ridimensionamento dei programmi di acquisto titoli avviati dalla Bce negli anni precedenti. Le banche italiane hanno continuato a ridurre la loro esposizione ai titoli di Stato. Dai 655 miliardi del 2020 (25,4%) si è passati a 623,6 miliardi nel 2023 (21,7%) e infine a 601,5 miliardi nel 2024, che rappresentano appena il 20,3% del totale. Una tendenza strutturale di alleggerimento dei bilanci, in linea con le esigenze di liquidità e gestione del rischio. Sgr, fondi pensione e assicurazioni hanno mantenuto una posizione stabile: nel 2020 detenevano 362,5 miliardi (14,1%), saliti a 372,3 miliardi nel 2023 (13,0%) e ulteriormente a 378,2 miliardi nel 2024, anche se in termini percentuali la quota è scesa al 12,7%, riflettendo l’aumento più marcato del debito complessivo.
Le famiglie italiane si confermano protagoniste. La loro esposizione al debito pubblico è quasi raddoppiata: da 232 miliardi nel 2020 (9,0%) a 384,5 miliardi nel 2023 (13,4%) e infine a 421 miliardi nel 2024, pari al 14,2% del totale. Una crescita alimentata dal successo delle nuove emissioni destinate ai risparmiatori retail, che hanno intercettato l’interesse per strumenti a basso rischio e rendimento certo in un contesto ancora incerto sui mercati finanziari. Gli investitori stranieri, infine, tornano a rappresentare la prima categoria di sottoscrittori.
Dopo aver detenuto 772,5 miliardi nel 2020 (30,0%) e 793,7 miliardi nel 2023 (27,7%), nel 2024 la loro quota è salita a 923,8 miliardi, pari al 31,1%. Il dato segnala una ritrovata fiducia dei mercati internazionali verso il debito sovrano italiano, anche grazie alla stabilità politica, al calo dell’inflazione e a rendimenti più competitivi rispetto ad altri titoli europei. Nel complesso, il confronto tra 2020, 2023 e 2024 mostra una composizione più equilibrata e diversificata, con il rafforzamento della componente retail e l’attenuazione del peso delle istituzioni pubbliche e bancarie. Una tendenza che migliora la resilienza del mercato dei titoli di Stato italiani e ne rafforza il profilo di sostenibilità nel medio-lungo periodo.
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