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Just Eat licenzia un quarto del personale: “L’ennesima vicenda stracciona di multinazionali che operano cercando di raschiare il fondo del barile”
Just Eat ha deciso di licenziare 50 dipendenti dalla sua sede di Milano, circa un quarto del personale, e la scusante è sempre la stessa quando si tratta di tagli: risparmiare sui costi. L’azienda parla di “maggiore flessibilità oraria”, ma in realtà, dietro a queste parole si nasconde una mossa strategica di delocalizzazione, con l’obiettivo di spostare il lavoro in Paesi dove la manodopera costa meno.
Una mossa che non tocca i rider, ma che colpisce duramente i dipendenti d’ufficio, e l’assistenza clienti. Il messaggio è chiaro: i risparmi passano prima di tutto. Affaritaliani.it ha analizzato il tema con l’Avvocato Alessandro Villari.
Just Eat ha annunciato il ridimensionamento della sede di Milano con una comunicazione scarna. Come giustifica questo comportamento, considerando che i licenziamenti colpiranno un quarto della forza lavoro?
Per ora è stato comunicato alle organizzazioni sindacali il ridimensionamento collettivo, ma sarebbe necessario avere più dettagli per approfondire il tema. Da quanto si capisce, si tratta semplicemente di una strategia di riorganizzazione finalizzata a minimizzare i costi, con l’intenzione, apparentemente, di esternalizzare una funzione, quella dell’assistenza clienti. È una situazione estremamente negativa, e bisognerà capire se sia legittima o meno; questo lo verificheranno i sindacati che assistono i dipendenti.
Dal punto di vista economico, è l’ennesima vicenda di multinazionali che operano cercando di raschiare il fondo del barile, pagando poco e cercando di ridurre le spese al minimo, indipendentemente dal valore del prodotto o del business che generano. D’altra parte, questo è anche il modello di business di questo tipo di imprese, non solo per la parte amministrativa, ma anche e soprattutto per quanto riguarda i rider, la manodopera che si occupa effettivamente del servizio.
Il mercato italiano del delivery è ancora immaturo rispetto ad altri paesi europei. Fare questi tagli non porterà a una crisi maggiore?
La crisi del settore di solito è la crisi degli imprenditori, perché i lavoratori di questo settore sono già in crisi da quando è nato. Questo settore si basa sul fatto che si possano utilizzare lavoratori più o meno come dipendenti a chiamata, quando serve, pagandoli poco e nulla. Su questo terreno ci sono state molte vertenze che hanno verificato una verità sacrosanta: il ciclista o fattorino che porta l’ordine è un vero e proprio dipendente nel momento in cui lavora, anche se il datore di lavoro è un’entità immateriale, ancora più astratta e impietosa a cui non puoi dire “scusa” o “piove”.
Proprio Just Eat, dopo anni di vertenze, aveva previsto una regolamentazione per questo tipo di manodopera, attraverso il contratto collettivo della logistica del trasporto, individuando una figura di ciclo-fattorino che prevedeva qualche tutela in più. Ma poi il risultato è che se si spende qualcosa in più da quel lato, si deve risparmiare, e tagliare, dall’altro. Non è un vero modello di impresa, secondo me.
La decisione di Just Eat potrebbe influenzare l’immagine dell’azienda nel mercato italiano?
Spero di sì. Lavoro a fianco dei lavoratori e, quindi, vedo la situazione da un’altra prospettiva. Quello che vedo è un’azienda che fonda il suo modello di business su pagare poco a tutti. E magari, la prossima volta che devo scegliere da chi farmi portare l’hamburger, opto per un altro. La realtà, però, è che più o meno tutti gli attori di questo settore si comportano allo stesso modo. Non a caso, si parla di “gig economy“, l’economia dei lavoretti, ma per molte di queste persone non si tratta di semplici lavoretti, bensì di mezzi di sussistenza.
Ma c’è in gioco anche un altro tema: quello della tutela che lo Stato dovrebbe offrire ai propri lavoratori e cittadini, impedendo che un’azienda usufruisca di incentivi e poi, appena trova un mercato più economico, sposti tutto altrove. Sarebbero necessarie politiche a livello nazionale che impediscano questo tipo di economia di rapina, in cui si sfrutta e poi si abbandona.
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