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                <em>Da Linda Del Bono</em>

La cosiddetta “propaganda gənder” non ha niente a che vedere con quello che molti credono di conoscere. La maggior parte delle volte si tratta di accumulare informazioni e misconoscenze, spesso da fonti miste e not evidence-based e fare un minestrone. Con sto caldo poi potete immaginare con quali ottimi risultati..
Mettendo da parte l’ironia, tenterò nuovamente di fare chiarezza: non esiste l’ “idəologia gənder” esistono i gender studies che trovano un ambito applicativo nella pedagogia di genere. Purtroppo questa sovrapposizione è frequente per coloro che non sono nel settore, che è quello socio pedagogico e non politico e per coloro che non hanno una sufficiente cultura in tale ambito.

Sì cultura, perché di questo si tratta, e non c’è ragione alcuna di prendersela a male anzi, all’ignoranza c’è sempre rimedio fortunatamente. Tentando di andare veloce: l’inglese è oggi la lingua veicolare dominante della comunicazione accademica e scientifica, ma la sua semplicità morfosintattica e l’approccio funzionale rischiano di appiattirne il pensiero, soprattutto in ambito pedagogico, dove la complessità concettuale è invece centrale. (Sarebbe a tal proposito opportuno rivalutare lingue alternative più adatte a questo specifico ramo. Il francese ad esempio, con la sua tradizione filosofica e pedagogica, offre una sintassi articolata e un lessico capace di esprimere finezze concettuali. Il tedesco, grazie alla sua struttura flessibile e alla capacità di formare concetti complessi, è storicamente legato al pensiero analitico. Tutte questioni che con la lingua inglese non è possibile ottenere).

Ad ogni modo essendo i gender studies nati in USA e UK negli anni ’60-’70, viene da sé che la lingua quella è e quella si usa. In Italia si sono sviluppati più tardi, dagli anni ’90 circa, principalmente in ambito accademico e femminista. Hanno influenzato in maniera importante il dibattito politico su violenza di genere, pari opportunità e stereotipi, al punto da contribuire alla promulgazione delle leggi sulla violenza sessuale (1996, con il passaggio da reato contro la morale a reato contro la persona) ed il femminicidio; quest’ultima in particolare pur essendo emanata da un governo di centrosinistra ha trovato convergenze politiche trasversali e largo supporto dal centrodestra vista anche la forte pressione dell’opinione pubblica. Insomma la violenza di genere (da leggere prevalentemente femminicidio, perché tant’è) ha messo d’accordo quasi tutti per una volta.

Insomma non mi sembrano tutta sta m…. di studi di genere, considerato il grande contributo che hanno dato alla comprensione dei suddetti fenomeni. Quindi, tornando al principio, i “gender studies” sono un campo interdisciplinare che analizza i rapporti tra genere, identità, potere e società, e cercano di comprendere come le costruzioni sociali vadano ad influenzare i ruoli e le disuguaglianze. Ne consegue che CI SONO anche delle considerazioni politiche da fare soprattutto dal punto di vista del contrasto e della prevenzione.
Non vanno confusi gli “studi di/sul genere”, con la cosiddetta “təoria gəndər”, termine ideologico usato polemicamente e politicamente per delegittimare questi studi e i relativi esiti.

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