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Dopo il terremoto giudiziario che ha investito la Giunta Sala, l’amministrazione milanese dovrebbe discutere, lunedì 21, le sorti del progetto San Siro. Il consigliere comunale Alessandro Giungi, esponente del Partito Democratico e presidente della Commissione Olimpiadi Milano-Cortina 2026, è da sempre uno degli oppositori più fermi all’operazione. “Un errore politico, non penale”, lo definisce, denunciando l’assenza di visione e la resa della politica alle logiche dei fondi privati. Giungi invita, da tempo, la Giunta a un passo indietro, alla luce di una situazione giudiziaria delicata, di un calendario consiliare saturo e di un’opinione pubblica sempre più contraria alla vendita. E ora che divampano le polemiche sull’inchiesta rilancia: “San Siro non è un impianto da rottamare. È un simbolo di Milano, da valorizzare, non da abbattere”. L’intervista di Affaritaliani.it Milano.

Consigliere Giungi, l’inchiesta urbanistica che ha colpito la Giunta Sala sembra gettare ombre anche sul progetto per San Siro, di cui lei è da sempre un oppositore, pur facendo parte del PD e della maggioranza. Crede che questa vicenda giudiziaria possa segnare la fine dell’iter di vendita dello stadio? Sarà la “pietra tombale” evocata da molti?
Premetto che, da avvocato, non posso che esprimere grande perplessità per il modo in cui stanno emergendo le notizie legate all’inchiesta: una pubblicazione a puntate degli atti giudiziari sui quotidiani non mi sembra una modalità corretta. Detto ciò, e tenendo distinti i piani, ribadisco con chiarezza quello che affermo da anni: sono contrario alla vendita di San Siro. Lo sono dal 2019, coerentemente, e per ragioni squisitamente politiche. È un progetto che non ho mai ritenuto all’altezza dell’interesse pubblico. In questi anni si è passati da una proposta all’altra, senza visione: abbattimento totale dello stadio, poi ristrutturazione ipotetica, poi vincoli, poi rifunzionalizzazione, infine una nuova costruzione a pochi metri dall’attuale impianto… e in mezzo anche ipotesi di stadi in altre aree. Tutto questo dimostra solo confusione. La politica ha lasciato troppo spazio decisionale ai fondi privati che controllano Milan e Inter. Un errore, appunto, politico, non penale. Ma che pesa e che rende l’intera operazione distante dagli interessi della città.

Oggi l’opposizione alla vendita è trasversale: nel suo stesso partito, ma anche tra Forza Italia e Verdi. Pensa che questa fase delicata possa indurre la maggioranza a una riflessione più profonda sul progetto San Siro?
Credo che la riflessione, pur doverosa, debba avvenire all’interno della Giunta, prima ancora che tra le forze politiche. È la Giunta che ha la titolarità della delibera, ma è evidente che la condizione oggettiva in cui si trova oggi l’assessore Tancredi [al centro delle indagini] rende difficile andare avanti come nulla fosse. E aggiungo un altro elemento: siamo nel pieno dell’assestamento di bilancio, con oltre 100mila emendamenti da affrontare entro il 31 luglio. Questo significa che anche sul piano strettamente amministrativo non è il momento adatto per portare in aula una delibera di questo tipo. Per tutte queste ragioni, ritengo corretto ipotizzare che la Giunta valuterà seriamente il passo indietro.

Il consigliere De Chirico (FI) ha detto che solo dei “pazzi incoscienti” firmerebbero la delibera prevista per lunedì 21. Lei cosa prevede accadrà? La Giunta andrà avanti o farà un passo indietro?
Io non mi permetto di utilizza espressioni del genere, ma, ripeto, conoscendo la sensibilità istituzionale del Sindaco e della Giunta, credo che sia probabile un rinvio o un congelamento della delibera. È una mia valutazione politica, non ho notizie ufficiali, ma la situazione è evidente: un assessore in difficoltà, un calendario consiliare saturo, un clima politico pesante. In questo contesto, portare avanti una delibera così delicata rischierebbe di apparire come una forzatura. Il mio auspicio, naturalmente, è che non si proceda, ma anche come osservatore interno credo che le condizioni oggettive spingano verso uno stop.

Se il progetto attuale dovesse naufragare, quale futuro immagina per San Siro e per il quartiere che lo circonda?
Credo che l’alternativa migliore resti la ristrutturazione dell’attuale impianto, senza demolirlo né stravolgerlo. Le società possono avanzare proposte, ma il Comune deve dare priorità a quelle che prevedano il mantenimento dello stadio. San Siro non è solo un luogo di sport: è un monumento culturale e popolare. È uno degli stadi con la media spettatori più alta d’Italia e d’Europa, ospita concerti da 60.000 persone, ed è anche un museo molto visitato: si parla di 200.000 presenze l’anno tra tour dello stadio e visite agli spogliatoi. Non è un impianto da rottamare. È un pezzo di Milano, anche simbolico, e lo sarà ancora di più il 6 febbraio 2026, quando ospiterà l’inaugurazione delle Olimpiadi invernali, davanti ai capi di Stato e alle autorità mondiali. Uno stadio che può ospitare eventi del genere, e il COI è più che scrupoloso, deve essere valorizzato, non abbattuto. Questa, per me, è la vera strada da seguire.

Quindi rivendica la sua opposizione politica, a prescindere e indipendentemente dall’inchiesta?
Sì, e ci tengo a dirlo con chiarezza. Tra l’altro, San Siro non mi risulta essere oggetto diretto delle indagini. Rispetto il lavoro della magistratura, ma credo che la politica debba assumersi le sue responsabilità e decidere con gli strumenti della politica, non delegando alla giustizia. La mia contrarietà non nasce oggi: è coerente con tutte le mie posizioni, da anni, e riguarda il merito del progetto, non le vicende giudiziarie. Poi è evidente che la situazione di un assessore chiave sotto inchiesta rappresenta un ostacolo politico pesante, che si somma a tutti gli altri. Ma la mia posizione è sempre stata chiara: questa vendita non è giusta per Milano.

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