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Nucleare, l’Italia è pronta? Meloni accelera, ma il paese frena
Il governo Meloni è deciso ad accelerare sul nucleare, puntando a reintrodurre l’energia atomica nel mix energetico dell’Italia come parte della transizione ecologica. La premier stessa ha parlato della necessità di un “mix energetico equilibrato” e ha definito l’Italia “all’avanguardia nella fusione nucleare”. Ma lo è davvero?
Negli ultimi mesi, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha infatti annunciato l’avvio di colloqui bilaterali per discutere della creazione di un ente a partecipazione pubblica che favorisca il rilancio dell’energia nucleare nel Paese, con l’apertura a incentivi per i privati. E Leonardo, insieme a Enel e Ansaldo Energia, ha anche aperto alla creazione di una “newco” per lo sviluppo di tecnologie nucleari di nuova generazione.
Ma la sfida è tutt’altro che semplice. Non solo perché in passato l’Italia ha già bocciato il nucleare con due referendum (1987 e 2011), ma anche perché i tempi tecnologici e burocratici non sono brevi: persino le soluzioni più avanzate non potrebbero entrare in funzione prima del 2030.
Negli ultimi anni il ministro ha istituito gruppi di lavoro per una roadmap sul nucleare, con obiettivi da raggiungere e scadenze da rispettare. Tuttavia, molti ostacoli sono difficili da ignorare: dalle complessità tecniche alla carenza di personale qualificato, fino alla regolamentazione rigorosa e alla necessità di convincere un’opinione pubblica ancora diffidente verso il nucleare.
Attualmente, l’attenzione si concentra soprattutto sugli SMR (Small Modular Reactors), mini-reattori modulari di terza generazione che presentano molti vantaggi in termini di sicurezza e flessibilità. Più piccoli degli impianti tradizionali, i reattori possono essere costruiti in fabbrica e assemblati sul posto, riducendo i tempi e i costi. Tuttavia, anche per gli SMR, le tempistiche non sono immediate, e servono investimenti significativi, ricerca e un quadro normativo solido.
Insomma mentre l’obiettivo del nucleare sembra prendere realmente piede in Italia, la strada verso una vera integrazione è ancora lunga e incerta. La politica e l’industria sembrano volerci credere, ma la risposta dipenderà dai progressi tecnologici, dall’accettazione pubblica e, soprattutto, dalla capacità di garantire un percorso sostenibile e sicuro per il Paese.
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