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L’autonomia regionale differenziata forse non è morta come esultano a sinistra, ma certamente ha subito una chiara battuta d’arresto. E con essa anche le altre riforme chiave del governo
La bocciatura parziale dell’autonomia regionale differenziata da parte della Corte costituzionale, precisamente su sette punti e non di secondo piano, provocherà un rallentamento di tutte le riforme del governo Meloni. Ad di là delle interpretazioni di parte e di segno diametralmente opposto – con fonti vicinissime a Matteo Salvini che esulta per la legittimità riconosciuta dell’impianto della riforma e tutto il Centrosinistra che parla della “fine” della Legge Calderoli – ora è chiaro che la palla ritornerà al Parlamento. Da sottolineare l’importante presa di posizione del Governatore della Calabria Roberto Occhiuto, esponente di spicco di Forza Italia, e quindi della maggioranza, che da mesi esprimeva dubbi sulla riforma invocando una “moratoria” ora “imposta dalla Consulta.
Fonti leghiste ai massimi livelli assicurano ad Affaritaliani.it che le Camere aggiusteranno quei passaggi bocciati dall’Alta Corte per poter completare il trasferimento delle materie alle regioni. In attesa di capire che cosa accade alla richiesta di referendum abrogativo delle opposizioni con questa sentenza della Consulta (gli stessi esperti della Carta sono divisi su questo punto e forniscono diverse interpretazioni), è evidente che per aggiustare la Legge Calderoli servirà tempo. Intanto si bloccheranno quasi certamente le interlocuzioni in corso con le regioni che avevano chiesto l’autonomia, come Veneto, Lombardia e Piemonte, e la legge tornerà probabilmente prima al Senato, da dove era partita, in Prima Commissione Affari costituzionali. E lì ci saranno audizioni, dibattiti, emendamenti e poi il passaggio in aula a Palazzo Madama. E successivamente lo stesso iter alla Camera.
Considerando che il Parlamento è super-ingolfato per la conversione in legge dei tanti decreti del governo, è evidente che il ritocco all’autonomia non sarà certo immediato, soprattutto ora con la Legge di Bilancio da approvare entro fine anno. Ma questa novità della Consulta si innesta nel processo di riforme già complesso con il premierato a Montecitorio in prima lettura dopo l’ok del Senato a giugno e Forza Italia che chiede di accelerare sulla riforma istituzionale della Giustizia.
Un sovraffollamento di norme e provvedimenti che rischia non solo di rimandare l’autonomia tanto cara ai leghisti a chissà quando ma di frenare anche il premierato (“La madre di tutte le riforme” per Giorgia Meloni) e la riforma del sistema giudiziario, storica battaglia di Silvio Berlusconi ora portata avanti da Antonio Tajani con il sostegno dei figli del Cavaliere. Insomma, l’autonomia forse non è morta come esultano a sinistra, ma certamente ha subito una chiara battuta d’arresto. E con essa anche le altre riforme chiave del governo per Fratelli d’Italia e Forza Italia subiranno un rallentamento. Il premierato, che rischia di slittare al 2026 a questo punto, non passerà comunque al vaglio della Consulta essendo una modifica della Costituzione e non una legge ordinaria come quella sull’autonomia. In quel caso la vera partita sarà il referendum istituzionale e quindi senza quorum per l’affluenza. Di fatto, sì o no a Meloni.
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